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La vicenda

Operaio Fiat viene licenziato ingiustamente. Vince l'appello. Ma è morto

Fa causa all'azienda ma durante il processo perde la vita. La sentenza di primo grado arriva nel 2021. Nei giorni scorsi la nuova decisione a 9 anni dal suo decesso

Operaio Fiat viene licenziato ingiustamente. Vince l'appello. Ma è morto

Operaio Fiat allontanato per troppe assenze fa causa all'azienda e vince. Peccato che la sentenza di primo grado sia arrivata a 7 anni dalla sua morte e quella di secondo grado - pronunciata nei giorni scorsi - nove anni dopo il prematuro decesso. Ora anche l'appello ha confermato le sue ragioni. A differenza della causa di primo grado, però, l'appello è stato più rapido (meno di due anni), sebbene molto difficile anche da un punto di vista emotivo. Perché il rischio che i congiunti dell'operaio di Cassino - rappresentati dagli avvocati Di Murro e Perrozzi - dovessero restituire il risarcimento ricevuto è stato molto alto.

La storia
Alfredo Morra, originario di Cassino, era entrato in Fiat negli anni 70, come operaio, trasfertista e jolly. Indossata la tuta con orgoglio, negli anni migliori per l'espansione economica del territorio, aveva deciso di mettere su famiglia con la signora Maria: dalla loro unione nascono tre splendidi bambini. Poi inizia ad avere problemi fisici e ad assentarsi, certificati medici alla mano.

Secondo l'azienda, però, le assenze diventano troppe: superato il periodo di comporto - ovvero quel termine che la legge riconosce al lavoratore per le assenze dovute a malattia - nel 2008 viene licenziato. Inutile spiegare le sue ragioni. Così si affida allo studio legale Di Murro Perrozzi e impugna il provvedimento per dimostrare - ad esempio - che quegli episodi di lombosciatalgia fossero legati alle disparate attività richieste: mulettista su carrelli elevatori vecchio modello e su una pavimentazione (oggi completamente sostituita) fatta di tocchetti di legno, maneggiando attrezzi pesanti. Durante la battaglia legale, però, nel 2014 l'operaio muore a poco più di 50 anni.
La moglie, con tre figli a carico di cui due minori, senza reddito e senza aiuti abbandonato il suo stile di vita - normale ma dignitoso - cresce i suoi splendidi ragazzi con tanti sacrifici. E non abbandona mai la battaglia per la verità.

Il pronunciamento
La sentenza di primo grado arriva nel marzo del 2021, con la decisione del dottor Iannucci del tribunale di Cassino che accoglie la tesi dello studio Di Murro Perrozzi e riconosce la nullità del licenziamento comminato nel 2008. Con la possibilità pure di reintegrare il lavoratore, ovviamente non eseguibile. In conseguenza della nullità del licenziamento, l'azienda viene chiamata a corrispondere agli eredi una indennità risarcitoria dalla data del licenziamento alla morte. Una somma superiore ai 200.000 euro. Somma che non ha certo restituito il padre ai suoi figli né il marito all'amata moglie, ma che ha consentito di andare avanti.

Quando Fca ha appellato la sentenza, con la richiesta di rinnovare una delle ctu, per la famiglia si è prefigurata la possibilità di dover restituire i soldi, utilizzati per vivere: alla morte dell'operaio, i sacrifici sono stati tanti. Con il rischio anche di non avere un tetto sulla testa. Poi la decisione del tribunale di Cassino, l'appello proposto da Fca e ora la sentenza di secondo grado che di fatto ha confermato le ragioni dell'operaio. E anche il risarcimento. Condannando Fca al pagamento delle spese. «La giustizia ha vinto ancora, nonostante l'accanimento - da un punto di vista giudiziario - contro una famiglia che chiedeva solo di far valere la forza della verità. Non possiamo che essere contenti per loro» hanno commentato i legali Di Murro e Perrozzi.

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