C'erano una volta il calzolaio, il falegname, il fabbro, il sarto, l'orologiaio e tanti altri. Le loro botteghe rendevano vivi i centri storici delle nostre città. Ora di quelle botteghe ne sono rimaste pochissime. E ogni anno sono sempre meno, come i nostri centri storici sono sempre meno vivi, caratterizzati da negozi sfitti, case disabitate o, laddove ancora resistono, da boutique del lusso, sempre uguali da città a città al punto che quasi più non si distinguono. Una fotografia impietosa quella che viene fuori dal rapporto sull'artigianato della Cgia di Mestre.
Negli ultimi dieci anni la provincia di Frosinone ha perso quasi duemila imprese artigiane per una diminuzione di poco inferiore al 16%. Il dato pone la Ciociaria al settantaquattresimo posto in Italia. In un'Italia che perde 324.605 botteghe artigiane ovvero il 17,4% di quelle che c'erano nel 2012.

Tornando a Frosinone, nel 2012 erano attive 12.021 imprese artigiane che, nel 2022, sono diventate 10.111 per una perdita secca di 1.910. Ovvero chiudono bottega, è proprio il caso di dire, 191 attività artigianali all'anno. Nel resto del Lazio, Latina è 83esima con un meno 14,9% e una diminuzione nel decennio preso in esame di 1.862 imprese, con il totale che scende a 10.627. Quindi, Roma è 96esima con una perdita di 8.988 aziende e un meno 11,1%. Risalendo la classifica, Rieti è 62esima con un meno 17% e 870 aziende chiuse dal 2012 al 2022, mentre Viterbo perde il 18% delle sue aziende artigiane (1.927 il totale) ed è 52esima in Italia. A livello nazionale Vercelli e Teramo, le peggiori, perdono il 27,2% delle imprese artigiane, mentre Lucca, terza, il 27%. Le migliori, invece, Bolzano 103esima con un meno 2,3%, Napoli con un meno 2,7% e Trieste con un meno 3,2%. Sotto il meno 10% anche Reggio Calabria, -7,2%, Taranto, -8,1%, e Vibo Valentia, -9,9%.

Spiega l'ufficio studi della Chia di Mestre: «Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall'Inps, nel 2022 contavamo 1.542.2991 artigiani. Non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora raggiunto l'età anagrafica e/o maturato gli an «Perso uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale» La crisi dell'artigianato secondo i numeri della Cgia di Mestre per gli anni dal 2012 al 2022 di contribuzione per beneficiare della pensione, spesso preferisce chiudere la partite Iva e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente». La Cgia rileva: «non solo diminuisce il numero degli artigiani, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Sono ormai ridotte al lumicino le botteghe artigiane. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento che davano una identità ai luoghi. Per contro, invece, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione sono quelli del benessere e dell'informatica.Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i videomaker e gli esperti in social media.
Purtroppo, l'aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure nell'artigianato storico».

La Cgia parla di «segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte
realtà urbane». Tanto più che queste attività sono considerate «uno straordinario presidio in grado di
rafforzare la coesione sociale di un territorio. Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d'uomo e tutto
si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani». Sotto accusa il mancato ricambio generazionale, «la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali». Dall'altro canto, cambiano i gusti dei consumatori: più prodotti usa e getta, più consegna a domicilio.

In più, osserva ancora la Cgia, «negli ultimi 40 anni c'è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale». L'artigianato, dunque, come «un mondo residuale, destinato al declino».