La porta chiusa, con i sigilli dei carabinieri. Attorno al bar "Davide", la cui attività è stata sospesa per quindici giorni, c'è il totale silenzio. Sì, attorno al bar c'è una quiete surreale, ma nelle strade e sui social, nelle piazze reali e in quelle virtuali, è un profluvio di dichiarazioni e commenti, che vanno dall'incredulità al disappunto alla solidarietà nei confronti dei titolari dell'attività, la famiglia Di Massimo.

Il tam-tam mediatico è iniziato subito nella giornata di ieri, non appena è stata resa nota la decisione assunta dalla Questura su proposta dei carabinieri: stop forzato per l'esercizio commerciale per via delle troppe risse avvenute nel passato, così recitava la nota diramata dalle forze dell'ordine.
Una di queste risse (precisiamo: si è svolta fuori dal locale, non all'interno) è avvenuta la sera antecedente la sparatoria costata la vita a Thomas Bricca.

Sul suo profilo facebook, Valentina Di Massimo è stata categorica: «Chiusura fino al 22 di giugno, ma per che cosa? Chi ci conosce sa e non dobbiamo spiegare nulla. Abbiamo 44 anni di attività con fedina penale pulita, ben 44 anni di clienti che tutti i giorni ci vengono a trovare, con le tante difficoltà nel trovare i parcheggi, 44 anni di clienti che se vengono un motivo ci sarà e il primo è che noi non abbiamo mai fatto distinzioni, perché quello che a noi interessa è che abbiano rispetto per noi e per gli altri. Sono ferita da una legge che non ci tutela, una legge che va contro gli onesti e a favore degli stolti».

Immediate le reazioni e tanti i messaggi di sostegno giunti alla famiglia Di Massimo: chi ha parlato di decisione assurda, chi di provvedimento troppo duro che danneggia solamente l'attività, chi ha sottolineato – in maniera forte – che il bar "Davide" è chiuso e che gli assassini di Thomas sono ancora a piede libero, chi ha ricordato – con un pizzico di amarcord – le generazioni che sono cresciute in quel bar, un punto di riferimento per i giovani, nel passato come oggi, chi – infine – ha sottolineato la correttezza e la disponibilità della famiglia Di Massimo («Gente perbene alla quale non si può dire nulla»). Messaggi espressi sia pubblicamente che in maniera privata, da avventori abituali, amici o semplici conoscenti.

La stessa Valentina Di Massimo è rimasta sorpresa dalla grande mole di affetto che è ricaduta addosso a lei e alla sua attività: «Grazie a tutti per le chiamate e per i messaggi che mi state inviando. Fa tutto bene al cuore. I nostri sacrifici sono almeno ripagati da tutto questo bene che voi volete a noi, ma anche noi ne vogliamo tantissimo a voi».

Poi, un pensiero è andato ai tanti ragazzi che frequentano il bar, che lei conosce bene e che tratta come fratelli più piccoli: «C'è un dato di fatto: io, il prossimo 22 giugno, riaprirò, ma a questi ragazzi cosa è stato trasmesso con tutto ciò? Si ha sempre "Alatri" in bocca, i ragazzi... Ma questi ragazzi a cosa devono credere? Sono tutelati? Ci siamo mai chiesti il perché dei loro comportamenti? Ci siamo mai chiesti perché sono delusi e amareggiati dalla giustizia? È facile sputare veleno su di loro.

Ad oggi si trovano senza un luogo di ritrovo, senza più un amico, pieni di perché. Io tutti i giorni li ascolto, anche sgridandoli ma mai giudicandoli».
Sottolineiamo che Questura e carabinieri hanno applicato una misura forte, in base a ciò che consente la legge, e che i titolari possono presentare ricorso se reputano il provvedimento illegittimo.