Sul palco dell'auditorium del "Pertini" ha preso il microfono in mano, incalzando continuamente don Luigi Merola. Ha tirato fuori tutto quello che covava dentro, non tanto con sfrontatezza, ma con la rabbia di chi ha perso un amico, di chi vuole giustizia e, soprattutto, attenzione per lui e per gli altri giovani della città, di cui denuncia una situazione sociale e psicologica difficile. Si chiama Nico Mella. ed è parte integrante dell'associazione "L'albero di Thomas".
Nico, tu eri amico di Thomas: ce lo puoi descrivere?
«Thomas è un ragazzo solare, che cerca sempre di trovare il buono, il meglio, anche dalle situazioni negative».
Ne parli al presente: è curioso...
«Per me è sempre presente».
Si è parlato tanto di quanto è successo a Thomas, degli episodi che hanno preceduto la sua tragica morte. Vorrei chiederti: a voi giovani, in questa città, cosa manca?
«Mancano le famiglie, manca la comunità».
In che senso mancano le famiglie?
«Tanti giovani vivono condizioni familiari disagiate, li si vede girare per il centro fino a tarda notte, perché gli unici punti di aggregazione sono quelli dove si crea il "branco", che in qualche maniera protegge. Ho visto personalmente adolescenti di 13-14 anni rispondere male al telefono ai propri genitori, maltrattandoli sul serio».
E quando parli di comunità, a cosa o a chi ti riferisci?
«Non ci sono "guide", nessuno che cerca di farti capire che cosa sia giusto o sbagliato. Così facendo si impongono altri modelli e si agisce soltanto per cercare di avere un'immagine di sé che sia accettata dagli altri, da chi ci circonda».
Con Thomas hai condiviso tanti momenti spensierati?
«Sì, abbiamo frequentato anche l'oratorio nella chiesa della Santa Famiglia. A noi bastava poco per divertirci: dopo aver giocato a pallone, si mangiava qualche patatina insieme. Oggi, se dici ad un ragazzino di fare queste stesse cose, ti insulta...».
A don Luigi Merola hai detto che, come giovani, voi avete collaborato per far luce su questo accaduto a Thomas, c'è però una delusione per come stanno andando le cose. Più volte hai ripetuto "Tu che faresti?": quella domanda non era rivolta solo a don Luigi, giusto?
«No, era ed è rivolta a tutta la gente di questa città. Le risposte dovrebbero arrivare dalle persone di Alatri. Don Luigi era ospite nella nostra città, poi è andato via».
Da grande cosa vorresti fare?
«Da piccolo sognavo di fare il poliziotto, oggi non saprei... Non so, vorrei fare qualcosa che sia di aiuto per gli altri».
Si parla di iniziative per i ragazzi di Alatri, ma se dovessi chiederti la prima cosa che faresti tu per la gioventù del nostro paese?
«Mah, partirei dalla cosa più semplice e importante: uno spazio dove poter parlare e dove poter essere ascoltati, perché non c'è nessuno che ci ascolta».