Rapina da un milione e mezzo di euro alla gioielleria Cataldi di Fiuggi, chiesta una seconda condanna.
Ieri, davanti al tribunale di Frosinone (presidente Antonio Ruscito) era in programma la discussione per l'assalto compiuto da tre uomini armati nel centro di Fiuggi, l'11 settembre 2021. Il pubblico ministero Rossella Ricca ha chiesto nei confronti del romano Gianluca Colasanti, 37 anni, la condanna a otto anni e quattro mesi di reclusione, riconoscendogli le attenuanti generiche. Il pm ha ripercorso tutte le fasi dell'inchiesta, ritenendo la prova regina il risultato del test del Dna sulla pistola rinvenuta all'interno dell'autovettura usata dai rapinatori per allontanarsi da piazza Spada. Test che avrebbe identificato proprio Colasanti.
Poi l'accusa ha puntato sulle intercettazioni telefoniche (e alcuni dettagli che i sospettati avrebbero rivelato in maniera improvvida), sui pedinamenti nell'area romana, sui rilievi balistici sull'arma, nonché su alcuni dettagli relativi alla postura e ai tatuaggi dell'imputato.
Dopo la procura ha discusso l'avvocato Emanuele Incitti, difensore di Colasanti, che ha contestato l'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, sul presupposto che sarebbero state attivate dopo una chiamata anonima che avvertiva gli investigatori su un tentativo di piazzare il bottino all'estero. Espressi dubbi dalla difesa in ordine alle modalità di svolgimento del test del Dna. Terminata la discussione, il tribunale ha poi rinviato l'udienza per repliche alla prossima settimana.
A scoprire il terzetto (con il rito abbreviato sono stati processati gli altri due complici, uno, un altro romano, condannato a otto anni e nove mesi di reclusione, l'altro assolto) sono stati i carabinieri del Reparto operativo nucleo investigativo di Frosinone. All'udienza del 22 novembre erano stati i militari dell'Arma a spiegare in aula come da un generico rapinatore 1, 2 e 3 erano risaliti alle identità dei presunti rapinatori. L'indagine ebbe inizio dalla visione delle immagini della videosorveglianza della gioielleria e di diversi negozi tra il casello di Anagni e Cataldi. Saltarono fuori due auto sospette e con targa clonata, una Jeep e un Doblò. La prima fu ritrovata quattro giorni dopo con una pistola, una Beretta con il caricatore inserito, sul lato passeggero, dove - come ricostruito dall'accusa - era seduto, durante la fuga, Colasanti.
Quindi, in caserma, arrivò la telefonata anonima, effettuata da una scheda francese, che indicava un nominativo, un siciliano, dal quale partirono le indagini. «Vi faccio questo regalo», disse l'anonimo precisando che lo stesso uomo, peraltro poi assolto, si sarebbe recato di lì a qualche giorno in Svizzera per ricettare i gioielli. Seguendo il siciliano, i carabinieri del Nucleo investigativo scovarono Colasanti in un parcheggio a Tor Bella Monaca a colloquio con il siciliano. Decisivi per il riconoscimento di Colasanti furono la camminata e i tatuaggi, in modo particolare una croce sul braccio. In più, secondo la ricostruzione del Ris, i profili genetici sulla pistola sono quelli di Colasanti. Da lì furono attivate le intercettazioni e altre attività.