La sanità pubblica del Lazio? Un sistema da rivedere, se non addirittura da rifondare. Dopo i dati disastrosi sulle liste d'attesa e sui tempi biblici delle prestazioni, l'ultima bocciatura, questa volta sulla mobilità sanitaria, arriva dalla Fondazione Gimbe che, in queste ore, ha pubblicato il report, dal titolo "La mobilità sanitaria interregionale nel 2020", che fornisce un quadro oggettivo su valore e composizione della migrazione sanitaria e sulle differenze regionali relative a: mobilità attiva, mobilità passiva, saldo totale, saldo pro-capite e valore della mobilità verso le strutture private, differenziato per ricoveri (ordinari e day hospital) e specialistica ambulatoriale. E il Lazio in questo contesto risulta tra le regioni peggiori.
Il quadro generale
Principalmente per gli effetti della pandemia, il valore della mobilità sanitaria interregionale nel 2020 è stato pari a 3.330,47 milioni di euro, una percentuale apparentemente contenuta (2,75%) della spesa sanitaria totale (121.191 milioni di euro), ma che assume particolare rilevanza per tre ragioni fondamentali. Innanzitutto, per l'impatto sull'equilibrio finanziario di alcune Regioni, sia in saldo positivo (ad esempio EmiliaRomagna: +300,1 milioni di euro; Lombardia: +250,9 milioni), sia in saldo negativo (ad esempio Lazio: -202,2 milioni di euro; Campania; -222,9 milioni; oltre alla Calabria).
«In secondo luogo - dice il Gimbe - perché oltre il 50% dei ricoveri e prestazioni ambulatoriali in mobilità vengono erogate da strutture private accreditate, un ulteriore segnale di impoverimento del Servizio Sanitario Nazionale; infine, per l'impatto sanitario, sociale ed economico sui residenti nelle Regioni in cui la carente offerta di servizi induce a cercare risposte altrove. I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord e in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie».
Infatti, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto "cubano" complessivamente assorbono quasi la metà della mobilità attiva e il 94,1% del saldo di mobilità attiva, valori peraltro sottostimati dal mancato computo dei dati relativi alla Regione Calabria.
Complessivamente, l'85,5% della mobilità sanitaria è relativo a prestazioni di ricovero ordinario e day hospital (69,5%) e specialistica ambulatoriale (16%) di cui oltre la metà viene erogata dalle strutture private, segnale inequivocabile di indebolimento di quelle pubbliche. Infine, la valutazione dell'impatto economico complessivo della mobilità sanitaria non permette di quantificare tre elementi.
Innanzitutto, i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti: secondo una survey condotta su circa 4.000 cittadini italiani, nel 43% dei casi chi si sposta dalla propria Regione sostiene spese comprese tra 200 euro e 1.000 euro e nel 21% dei casi fra 1.000 e i 5.000 euro. In secondo luogo, i costi indiretti, quali assenze dal lavoro di familiari e permessi retribuiti. Infine, i costi intangibili che conseguono alla non esigibilità di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione.
Mobilità attiva
Identifica le prestazioni erogate da ciascuna Regione per cittadini non residenti: in termini di performance esprime il cosiddetto "indice di attrazione" e in termini economici identifica i crediti esigibili da ciascuna Regione. Le sei Regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a 150 milioni: Lombardia (20,2%), Emilia-Romagna (16,5%) e Veneto (12,7%) includono complessivamente quasi la metà della mobilità attiva. Un ulteriore 20,7% viene attratto da Lazio (8,4%), Piemonte (6,9%) e Toscana (5,4%). Il rimanente 29,9% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. I dati documentano la forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord a cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.
Mobilità passiva
Indica le prestazioni erogate ai cittadini al di fuori della Regione di residenza: in termini di performance esprime il cosiddetto "indice di fuga" e in termini economici identifica i debiti di ciascuna Regione. Le tre Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni di euro: in testa Lazio (13,8%), Lombardia (10,9%) e Campania (10,2%), che insieme compongono oltre un terzo della mobilità passiva. Il restante 65,1% della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 17 Regioni e Province autonome. I dati della mobilità passiva documentano differenze più sfumate tra Nord e Sud. In particolare, si registrano rilevanti indici di fuga nelle Regioni settentrionali con elevata mobilità attiva: Lombardia (-362,9 milioni), Veneto (-220,1 milioni), Piemonte (-210,8 milioni) ed Emilia-Romagna (-201,7 milioni). Verosimilmente questo documenta specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento tra Regioni del Nord che offrono servizi sanitari di qualità elevata (cosiddetta mobilità di prossimità).
Il Lazio rientra, assieme a Campania, Puglia e Sicilia, nel saldo negativo particolarmente rilevante: -202.242.327 milioni di euro derivanti dalla differenza tra crediti (mobilità attiva) pari a 256.247.171 di euro e debiti (mobilità passiva) pari a 458.489.498 di euro. In generale, più della metà del valore della mobilità sanitaria per ricoveri e prestazioni specialistiche è erogata da strutture private, per un valore di 1.422,2 milioni (52,6%), rispetto ai 1.278,9 milioni (47,4%) delle strutture pubbliche; e qui il Lazio è quarto in Italia con il 62,6% contro il 15,2% dell'Umbria o il 3,45 della Provincia di Bolzano.