A dieci anni esatti dal crollo del viadotto Biondi, arriva l'assoluzione dell'ex dirigente comunale Francesco Acanfora. Il cedimento non fu responsabilità dell'allora responsabile dei Lavori Pubblici. Lo ha stabilito, ieri pomeriggio, il giudice monocratico Silvia Fonte-Basso che ha assolto con la formula "per non aver commesso il fatto" il solo dirigente a finire sotto processo per il cedimento del tratto finale del collegamento tra viale Roma e piazza San Tommaso d'Aquino nell'inverno del 2013.
Nel corso della discussione anche la procura ne aveva sollecitata l'assoluzione, ma "perché il fatto non sussiste". La difesa, rappresentata dagli avvocati Calogero e Antonino Nobile, ha sostenuto come non vi fossero responsabilità da attribuire al dirigente. I legali hanno evidenziato che, nel corso del dibattimento, non sono emerse responsabilità riferibili all'ufficio diretto dall'imputato. Nella discussione la difesa ha notato che mai era stato evidenziato un pericolo specifico di frana su quel tratto, che il settore dei Lavori pubblici sarebbe potuto intervenire solo dopo una progettazione e un impegno di spesa.
L'avvocato Nobile ha insistito che altri erano i settori comunali che avrebbero dovuto monitorare il sito e che avrebbero potuto avvalersi di un geologo. La frana - secondo tale prospettazione - è stato un evento eccezionale, non prevedibile, determinato dalle abbondanti piogge dei giorni precedenti. Non a caso, nell'udienza del luglio 2021, il perito del pubblico ministero aveva sottolineato che, nel marzo del 2013, si era verificata su Frosinone una piovosità particolarmente intensa e ciò aveva creato diversi problemi. Argomenti che il giudice deve aver tenuto in considerazione dal momento che ha emesso una sentenza di assoluzione con la formula più ampia.
Finisce così una lunga storia che aveva portato sul banco degli imputati Francesco Acanfora. Questi era stato accusato di aver cagionato, o comunque non impedito, «la frana a scorrimento che il 13 marzo 2013 interessò il versante della collina di piazzale Vittorio Veneto».
In base al capo d'imputazione, Acanfora, pur sapendo che «il viadotto, eretto in zona C, ovvero in un'area di ampliamento dei fenomeni franosi cartografati nel piano di assetto idrogeologico dell'autorità di bacino, e pur essendo stati evidenziati, a seguito dei sopralluoghi dai tecnici comunali il 3 novembre 2008, il 9 e il 17 marzo 2011, il degrado geomorfologico dell'area e la condizione di instabilità del pendio posto tra il viadotto Biondi e piazza San Tommaso d'Aquino, ometteva di adottare le misure di protezione e prevenzione atte ad evitare il crollo».
Sempre secondo la procura «ometteva di disporre l'indagine sul versante (richiesta dai tecnici e finalizzata alla stima della pericolosità geologica del pendio) e di eseguire le opere di ingegneria naturalistica e civile di consolidamento e risanamento tra cui, in particolare, il muro di contenimento in cemento armato (attestato su fondazioni) alla base del rilevato stradale posto a sostegno del tratto di via Biondi interessato da crollo». Accuse che il diretto interessato aveva sempre respinto.
Peraltro, lo stesso gup che aveva rinviato a giudizio il dirigente, con un'ordinanza, aveva trasmesso gli atti al pubblico ministero per invitarlo a indagare ancora.
La frana aveva provocato la caduta, a più riprese, dell'ultimo tratto del ponte, con conseguente chiusura del collegamento viario. Prima di essere riattivato completamente (a giugno 2019), il viadotto fu aperto, in via provvisoria a senso unico alternato, grazie al ponte Bailey, fatto installare dal Comune di Frosinone che, nel giudizio contro Acanfora, si era costituito parte civile attraverso l'avvocato Paolo Tagliaferri.
Acanfora, in una precedente udienza, si era fatto interrogare per spiegare che il viadotto e la conseguente manutenzione non erano di sua competenza specifica. Analoga sentenza assolutoria (prodotta anche nel processo conclusosi ieri) c'era stata davanti alla Corte dei Conti. I giudici contabili, nel 2019, avevano ritenuto che «non emerge in modo inequivoco la responsabilità» sull'evento «né in termini di rapporto di causalità tra la condotta e l'evento né in termini di colpa grave».