Ha risposto e spiegato per oltre tre ore, chiarendo passaggi tecnici ma anche rapporti personali: «Mi è stato contestato un commento che avrebbe fatto intendere che se io avessi aiutato le persone a capo delle coop loro avrebbero assunto mio figlio. Non ha senso: Massimiliano già lavorava con loro, cosa doveva concretizzarsi?». A essere ascoltato ieri un altro imputato dell'inchiesta "Welcome to Italy", il settantenne Michele Murante di Rieti, dirigente del servizio centrale Sprar e a capo del servizio rendicontazione.
Come altri imputati ascoltati nella scorsa udienza, il dirigente ha risposto alle domande e rilanciato: «Nessuna pressione sugli enti. Tutto tracciabile, ho tutto documentato attraverso la mail: usavo solo quella di lavoro. La mail privata l'ho aperta solo dopo il mio pensionamento». Murante era finito nelle maglie dell'inchiesta insieme al figlio e ad altre venti persone chiamate a rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di dipendenti pubblici, estorsione, truffa ai danni dello Stato di Enti pubblici, frode in pubbliche forniture e altri reati. Accuse mosse a vario titolo nei confronti degli imputati a cui viene chiesto conto di aver fatto soldi sulla pelle dei richiedenti asilo.
«Il piano Sprar era una novità, non era facile stabilire tutte le voci di spesa in tempo reale. C'era bisogno per gli enti locali di rimodulare questo piano entro la fine dell'anno. E c'era la possibilità di errori: un finanziamento di 100.000 euro presupponeva che tu mettevi in conto di spendere tutto ma avveniva che gli importi spesso erano minori e apparivano sbagliati» spiega Murante.
Che continua: «Sapevo di cene precedenti e del fatto che c'erano persone da assumere. Mi sono premurato di farmi inviare i contratti di assunzione perché erano documenti fondamentali: spesso le cifre erano superiori e poi si ricorreva ai tagli. Così chiesi agli Aristipini di inviarmi i contratti prima. Non ho influito mai né sulla determinazione del contratto né su altro. Erano contratti di collaborazione a progetto. Ho lasciato sempre il controllo ad altri. Né mi sono mai permesso di fare pressioni su chi doveva farli. Facevo attività di consulenza in continuazione. Davo consigli a mio figlio ma lo facevo anche con gli altri».
A unire Murante ad altre persone finite nell'inchiesta alcune passioni, soprattutto per il calcio. «Pieroncini ed io eravamo amici fraterni, uniti dalla passione per il calcio: gestivamo la Sabinia. Non sono mai intervenuto con Scittarelli per far assumere Pieroncini. Vengo intercettato una sola volta e parlavo di calcio. Anche Scittarelli lo conosco per una partita di calcio, ad Arce».
Nessuna "intromissione"
Quando si presenta lo spettro di una diatriba tra coop e di un possibile ricorso al Tar è proprio Murante a intervenire. «Il ricorso al Tar avrebbe dilatato i tempi del progetto, non si sarebbe potuto dare seguito al progetto. Nella mail si evince che gli Aristipini già sapevano dell'emergenza sbarchi e delle nuove gestioni» continua. «Dopo la pensione nessuno mi ha visto né sentito. Come avrei continuato ad avere un potere, a gestire a distanza le coop? - puntualizza - Non ho mai avuto accordi con nessuno, per favorire nessuno». Serrate le domande delle difese e del pm. Pure sulla questione "opportunità" dell'assunzione del figlio, visto il suo ruolo. Chiesta l'acquisizione degli interrogatori Pieroncini, Pilla, Aristipini e Risi. Si torna in aula il 28 marzo: pronti gli avvocati Salera, Marandola, Corsetti, Vellucci, Di Mascio, Sgambato, Pollino, Buzzacconi.