Francesco Suprano «non ha reso dichiarazioni false né taciuto quanto a sua conoscenza». Queste le conclusioni dei giudici della Corte d'assise di Cassino nella sentenza di assoluzione resa al termine del lungo processo a carico dei cinque imputati assolti con formula piena (Suprano, i Mottola e Vincenzo Quatrale) per l'omicidio di Serena Mollicone. Per l'appuntato l'ipotesi era quella di favoreggiamento in omicidio. A collegare - per l'accusa - Suprano alla morte della studentessa sarebbe "l'arma del delitto": la procura, infatti, sostiene la tesi che Serena sia stata scaraventata contro la porta, ritenuta per questo l'arma incriminata. Porta poi spostata.
E a farlo sarebbe stato proprio l'appuntato, ponendola nel suo appartamento e "coprendo" ogni possibile prova. La Corte, analizzando gli elementi emersi durante il processo, ritiene questo non plausibile, sia in ordine «alle dichiarazioni false» nella misura di aver «taciuto quanto di sua conoscenza, alfine di aiutare gli autori dell'omicidio di Serena». Sia in ordine allo "spostamento" della porta: «pur valutando la diversa ricostruzione dell'accusa - scrivono i giudici - appare priva di qualsivoglia spiegazione logica la circostanza che Suprano da un lato si sarebbe attivato spostando la presunta "arma del delitto" presso il suo appartamento, così determinando un suo coinvolgimento nei fatti per cui si procede. E dall'altro avrebbe assunto un atteggiamento di superficialità o noncuranza lasciandola nelle medesime condizioni, senza quantomeno attivarsi per ripararla» si legge nelle motivazioni depositate lunedì scorso. I legali hanno rotto il silenzio e sono intervenuti, spiegando anche perché finora Suprano sia rimasto lontano da microfoni e riflettori.
Le difese
I difensori del militare, gli avvocati Cinzia Mancini ed Emiliano Germani, si sono detti pienamente soddisfatti delle motivazioni, coincidenti con quanto da sempre sostenuto dal loro assistito circa l'estraneità ai fatti contestati. Le motivazioni della sentenza, proseguono, condividono su ogni punto la tesi avanzata nel dibattimento dalla difesa di Suprano. Non solo. Per gli avvocati ci sarebbe anche un passaggio ulteriore. «Quanto alla presunta falsità dell'ordine di servizio numero 2 del 1° giugno 2001 paventata dall'accusa, i giudici sottolineano come non solo non possa ritenersi provata, ma in senso opposto - dalle risultanze dibattimentali - è emersa la veridicità dell'atto attraverso le dichiarazioni testimoniali, ulteriormente riscontrate dai tabulati telefonici, che dimostrano l'assenza di telefonate in entrata e in uscita nella fascia oraria di svolgimento del servizio di pattuglia esterno» affermano gli avvocati di Suprano.
Che aggiungono: «I giudici della Corte d'assise spiegano ancora dettagliatamente e con grande precisione che Suprano, contrariamente alla ricostruzione dell'accusa, è estraneo al paventato occultamento della porta considerata, sempre nell'ipotesi accusatoria, l'arma del delitto. Ciò sia per ragioni temporali e logiche, sia per conferma dei testimoni; ma anche per le spiegazioni rese in tal senso da Suprano, ben conosciute agli inquirenti. Fermo restando, inoltre, che tale porta non è risultata essere l'arma del delitto». In attesa delle scelte della procura sulla sua posizione, sia Francesco Suprano che i suoi avvocati - Mancini e Germani - continuano a confidare nel vaglio della magistratura, già espresso in senso favorevole a tutti gli imputati.
«Preme, infine, precisare che il silenzio mantenuto finora - continuano le difese - è stato motivato dal grande rispetto che un rappresentante delle forze dell'ordine, quale è Suprano, ha avuto nei confronti della magistratura requirente e giudicante nonché verso i familiari della vittima e che viene esternato oggi, preso atto della chiare emergenze processuali e delle puntuali e precise motivazioni della sentenza di assoluzione».