Non può essere assunta come portalettere dopo la selezione per sopravvenuta... gravidanza. Recente la sentenza del giudice del Tribunale del lavoro - la dottoressa Gualtieri - in materia di discriminazione sessuale in ambito lavorativo. La sentenza ha condannato Poste Italiane a risarcire i danni a una donna residente in un piccolo Comune vicino a Cassino, risultata idonea a una selezione per ricoprire il ruolo di portalettere - tanto da essere inserita nell'apposita graduatoria - salvo poi non essere più assunta perché successivamente rimasta incinta. La futura mamma (che prima della selezione lavorava per un'altra azienda) non ci sta e rivolgendosi all'avvocato Giorgio De Santis del Foro di Frosinone ha iniziato una lunga battaglia. Che si è conclusa con una importante pronuncia, destinata a fare giurisprudenza a livello nazionale e non solo.

Gravidanza come patologia
«Secondo Poste Italiane, infatti, lo stato di gravidanza rendeva la lavoratrice inidonea alla mansione, dovendosi la gravidanza equiparare a uno stato patologico» spiegano dallo studio legale. Una condotta contestata dalla lavoratrice e ritenuta dal Tribunale del tutto «illegittima e discriminatoria». Così, il giudice, accogliendo il ricorso della donna, assistita dall'avvocato De Santis, ha dichiarato «l'illegittimità per ragioni discriminatorie della condotta di Poste Italiane consistita nella omessa assunzione della lavoratrice» condannando l'istituto al risarcimento del danno patrimoniale costituito dal differenziale tra l'indennità di maternità percepita dalla ricorrente al momento della mancata assunzione e quella che avrebbe avuto diritto a percepire qualora assunta, condannando ulteriormente Poste Italiane anche al risarcimento del danno morale, oltre al pagamento delle spese di giudizio. Una sentenza che rimarca con fermezza l'illegittimità della condotta datoriale correlata alla discriminazione perpetrata sessuali.

I richiami alla Carta UE
La sentenza avrà enorme risalto anche oltre i confini nazionali, visti i richiami operati dal Tribunale ad alcune norme della Carta UE e ad alcune direttive europee contro la discriminazione femminile, richiamando espressamente il giudice nazionale pronunce sul punto della Corte di giustizia europea. Secondo il Tribunale di Cassino «un datore di lavoro non può mai bloccare l'assunzione di una donna per il solo fatto che la donna entri in gravidanza, atteso che questo ben può integrare una discriminazione basata sul sesso; atteso che, a parità della situazione lavorativa rispetto ad altri lavoratori non può essere riservato un trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza». Secondo il giudice del lavoro del Tribunale di Cassino la condotta di Poste Italiane è stata del tutto contraria «alle disposizioni delle richiamate direttive comunitarie e delle disposizioni nazionali». Nella sentenza viene inoltre sottolineato che una donna che sia in gravidanza «giammai può essere discriminata e sfavorita nel lavoro rispetto ad altre donne non in stato di gravidanza o a colleghi di sesso maschile» e, a confutare la tesi difensiva di Poste, secondo cui dalla gravidanza deriverebbe una incapacità a svolgere le proprie mansioni non diversa da quella che deriverebbe anche ad un uomo da una malattia, il Tribunale ha evidenziato, con richiamo a numerose pronunce della Corte di Giustizia europea, che «lo stato di gravidanza non è in alcun modo assimilabile a uno stato patologico né tantomeno a una indisponibilità derivante da ragioni di salute, situazioni che invece possono motivare il licenziamento di una donna senza che ciò sia discriminatorio in base al sesso».