Non è bastato un saldo migratorio positivo di 708 unità a risparmiare al capoluogo un nuovo calo dei residenti di 206 (dato anticipato nell'edizione di ieri) persone. A pesare come un macigno sulla diminuzione della popolazione, scesa a 44.550 abitanti rispetto al dato precedente (44.756), è stato il saldo naturale fortemente negativo con poche nascite e tanti decessi.

Secondo i dati elaborati dall'Ufficio dello Stato Civile del Comune di Frosinone, infatti, sono state registrate 262 nuove nascite (149 maschi e 113 femmine) a fronte di 1.170 decessi (584 maschi e 586 femmine) con un "drammatico" -908. Il fenomeno delle culle vuote travolge, quindi, anche il capoluogo. L'Istat segnala, infatti, che se il saldo migratorio non fosse ancora positivo, anche se in misura decrescente, il ricambio della popolazione apparirebbe compromesso.

La bassa e ancora declinante natalità è, innanzitutto, la conseguenza del forte assottigliamento delle coorti in età potenzialmente fertile, contro un innalzamento delle speranze di vita che ingrossa le file delle coorti più vecchie. A questo vincolo puramente demografico si deve aggiungere, tuttavia, il perdurare di un tasso di fecondità che, con 1,26 figli per donna, si avvicina al livello finora più basso, toccato nel 1995. La piccola ripresa della fecondità che aveva segnato gli anni a cavallo del nuovo millennio, infatti, è stata fermata dalla crisi iniziata nel 2008, che ha colpito particolarmente le generazioni più giovani, in difficoltà nel formare una famiglia, stante quelle che incontrano a entrare nel mercato del lavoro e ad assicurarsi redditi decenti e ragionevolmente sicuri.

Difficoltà che accomunano uomini e donne, ma che per queste ultime presentano il rischio aggiuntivo degli effetti di una possibile maternità, quali il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a termine per le lavoratrici dipendenti, o l'essere considerata lavoratrice "a rischio" da un potenziale datore di lavoro perché madre, o ancora di perdere clienti se lavoratrice autonoma. La diffusione di rapporti di lavoro temporanei e precari, particolarmente concentrati tra i giovani in generale e le giovani donne in particolare, ha inoltre ampliato, anche tra le lavoratrici nella economia cosiddetta formale, il numero di quelle che non hanno accesso all'indennità di maternità, o che vi hanno diritto solo in misura irrisoria.

A questi rischi e difficoltà si aggiunge quella della conciliazione tra maternità e lavoro per il mercato, stante una organizzazione del lavoro non sempre amichevole nei confronti di chi ha la responsabilità di bambini piccoli e la scarsità, oltre che il costo, dei servizi per la prima infanzia. Adesso, con il governo Meloni, le politiche sulla natalità sono diventate una priorità. Nella legge di bilancio, ad esempio, è stato rafforzato l'assegno unico universale. È diventato più corposo per le famiglie numerose: da gennaio la maggiorazione mensile forfettaria per i nuclei con 4 o più figli è salita a 150 euro.

La strada è lunga, ma sembra ormai obbligata. Gli effetti della denatalità sull'economia e sulla sostenibilità del welfare cominciano a prodursi ora con l'entrata nelle età lavorative dei nati dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, quasi dimezzati rispetto alla generazione dei propri genitori. Non è più solo questione di conti pubblici, ma anche di squilibri che investono il mercato del lavoro.