Il numero degli abitanti in Italia è in continuo calo e la popolazione è sempre più anziana. Nascono meno bambini e i flussi migratori non sono sufficienti a bilanciare il saldo naturale della popolazione. I recenti dati della zona euro confermano l'Italia come fanalino di coda in tutte le classifiche demografiche e Frosinone, in questo senso, non fa eccezione. La popolazione residente al 1º gennaio 2023 sul territorio comunale, secondo i dati elaborati dall'Ufficio dello Stato Civile di palazzo Munari è di 44.556 unità (3.931 delle quali straniere) con un calo secco di 200 unità rispetto alla rilevazione del 1º gennaio 2022. Il capoluogo ha perso, in buona sostanza, 16 residenti al mese.

Resta, però, da capire se sul dato abbia pesato maggiormente il saldo naturale (la differenza tra nascite e decessi) o quello migratorio, e sul punto gli uffici comunali sono impegnati nella ricostruzione statistica per cui, nei prossimi giorni, se ne dovrebbe sapere di più
Quella della crisi demografica, è senz'altro la grande questione rimossa del nostro Paese. Non mancano i titoli di forte preoccupazione sui media quando escono i dati Istat sulle nascite in continua riduzione, ma dal giorno dopo il tema scivola sistematicamente ai margini del dibattito pubblico. La politica italiana tende ad avere uno sguardo corto, che fatica ad andar oltre il consenso da ottenere nelle prossime elezioni.

La combinazione tra poca lungimiranza, bassa consapevolezza delle conseguenze della denatalità, marginalità delle politiche per i giovani e le donne, ha portato gli squilibri demografici a diventare sempre più gravi generando un senso di impotenza verso un destino ineluttabile. Anziché produrre una reazione si è via via scivolati verso la rassegnazione. Ci si è permessi di sottovalutare questa enorme questione, perché il centro della vita attiva è stato, fino a qualche anno fa, presidiato da generazioni molto consistenti. I nati attorno a metà anni Sessanta avevano 35 anni nel 2000 e 55 nel 2020.

Gli effetti della denatalità sull'economia e sulla sostenibilità del welfare cominciano a prodursi ora con l'entrata nelle età lavorative dei nati dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, quasi dimezzati rispetto alla generazione dei propri genitori. Non è più solo questione di conti pubblici, ma anche di squilibri che investono il mercato del lavoro.