Un Atlante del Covid in Italia. Lo studio presentato al Cnr è stato curato da Emanuela Casti, dell'Università di Bergamo e Andrea Riggio dell'Università di Cassino. È stato evidenziato come alcuni fattori quali inquinamento, mobilità, demografia, tipo di assistenza sul territorio e presenza di Rsa non protette abbiano inciso, nelle varie ondate, sulla diffusione del Covid in Italia e nel Lazio. Nel capitolo dedicato agli effetti del virus sull'inquinamento, si legge che «il lockdown, oltre ad aver rivoluzionato in modo forse definitivo il nostro genere di vita e la nostra qualità della vita, oltre ad aver inciso profondamente sulla mobilità e sulla nostra libertà di movimento, mettendo in discussione il nostro stesso modello di abitare e con esso gli spazi pubblici e privati, ha comportato una riduzione degli agenti inquinanti riconducibili al settore dei trasporti.

In particolare, tra marzo e maggio 2020 si sono registrate nel Lazio una sensibile diminuzione media di NO2 (tra il 40 e il 60%) e un'attenuazione meno incisiva di PM10 (5%) rispetto agli anni 2016-2019 presi come termine di paragone. Per entrambi gli inquinanti il mese di aprile è quello che ha evidenziato il maggior decremento percentuale proprio a causa del lockdown di marzo (Arpa Lazio, 2020). Confrontando i dati dell'inquinamento con quelli relativi alla distribuzione e composizione della popolazione, ai sistemi locali del lavoro e alle forme di mobilità sul territorio, si registra che le diminuzioni di agenti inquinanti nel periodo tra marzo e maggio sono state più incisive nelle aree ad alta densità abitativa e maggiormente contrassegnate da quotidiani fenomeni di pendolarismo per motivi di studio e lavoro, ovvero nell'area metropolitana romana, nella zona litoranea meridionale e lungo la fascia della valle del Sacco che gravita intorno al distretto industriale del frusinate».

Invece, quanto al rapporto tra inquinamento e diffusione del virus, nel rapporto si osserva che: «La comparazione tra elevati livelli di inquinamento e tasso di incidenza del Covid-19 rispetto alla popolazioneresidente alivello comunale evidenzia come nella prima ondata pandemica i territori maggiormente inquinati della Regione, ossia l'area metropolitana e il distretto industriale della provincia di Frosinone, non hanno mostrato tassi di incidenza del virus più elevati rispetto agli altri contesti laziali, a differenza di quello che si è invece verificato con l'esplosione della seconda ondata epidemica iniziata nell'autunno 2020. Vivere in aree intensamente urbanizzate e industrializzate dove l'inquinamento atmosferico è elevato comporta dei rischi per la salute della popolazione che è statisticamente più esposta, rispetto a chi vive in aree poco inquinate, a infezioni respiratorie che possono cronicizzarsi e a malattie cardiovascolari.

Il fatto che queste aree siano anche generalmente le più colpite dall'epidemia non implica automaticamente che esista un rapporto di causa-effetto tra l'inquinamento e la diffusione del Covid-19, ma sicuramente l'inquinamento fragilizza il sistema respiratorio ed è un fattore di rischio che può amplificare l'ipersensibilità all'infezione o concorrere all'aggravamento del quadro clinico delle persone contagiate dal virus, soprattutto in presenza di patologie pregresse». Nelle conclusioni si rimarca che: «La distanza dalle aree più colpite del Paese ha posto il Lazio, per intensità e gravità del contagio, nella "seconda Italia" (Italia centrale) e il virus ha colpito inizialmente la parte più fragile e immunodepressa della popolazione cioè quella residente nelle aree marginali con elevati livelli d'invecchiamento e ospitata in Rsa».

Tuttavia, «non si sono osservate nel periodo febbraio-giugno le stesse conseguenze delle aree più colpite del Paese anche per un limitato grado di vulnerabilità sanitaria dovuto alla presenza di centri molto avanzati nello studio e la cura delle malattie infettive (centri di ricerca, ospedali, posti letto, anche in terapia intensiva), di una medicina territoriale che ha conservato il suo ruolo e ha svolto un'azione di contrasto e per il ricorso a strumenti di screening della popolazione più capillari se confrontati alle altre regioni. Il livello di vulnerabilità sanitaria è stato anche limitato dal minore ricorso ai mezzi pubblici collettivi negli spostamenti per lavoro o per studio e per le più favorevoli condizioni climatiche e atmosferiche.

Dal punto di vista climatico la minore durata della stagione fredda che favorisce la diffusione del virus, la più elevata circolazione e ricambio dell'aria presente nelle aree più densamente abitate e i minori livelli d'inquinamento sono stati posti in evidenza. Nonostante ciò, la diffusione del Covid-19 sia per reticolarità, inerente all'elevata mobilità, sia per prossimità essendo una regione fortemente urbanizzata, è emersa in modo più chiaro nella seconda ondata della pandemia, quella autunnale, allorché l'area metropolitana di Roma e la regione industriale posta sulla direttrice Roma-Napoli hanno mostrato maggiori fragilità».