Fanghi e acque rosse nei canali di scolo e nei fossi tra Cassino e Sant'Elia. Le piogge degli ultimi giorni hanno fatto gonfiare la falda superficiale, facendo riemergere in più punti l'anomala colorazione che preoccupa e non poco cittadini e ambientalisti. Che tornano ora a chiedere i risultati delle analisi eseguite diversi mesi fa da Ispra e Ram.

Lo scorso 13 gennaio - lo ricordiamo - l'allora sottosegretario al Mite Ilaria Fontana aveva elevato il livello di attenzione istituzionale sul fenomeno delle "acque rosse" con la creazione del tavolo tecnico in prefettura: una riunione operativa per fare il punto sul monitoraggio e sullo stato di salute delle zone tra Cassino e Sant'Elia su cui pende l'ombra della contaminazione. Un passo da giganti nella lotta all'inquinamento nel Basso Lazio: con questa proposta, infatti, l'ex sottosegretario aveva messo a sistema le segnalazioni degli ambientalisti - in primis dell'Ansmi (Associazione nazionale della Sanità militare italiana) ma anche di Gre e Fare Verde che da anni si battono per la tutela del territorio - con la regia istituzionale. E con gli esperti.

Un modo mai usato prima, per fare quadrato e stabilire di che natura siano quelle colorazioni anomale di acqua e fango. Poi a maggio i primi sopralluoghi, insieme ai tecnici del Reparto ambientale marino del ministero della Transizione ecologica (Ram) e agli organi di controllo dell'Ispra - l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - nonché con l'Arpa Lazio. E poi, ancora, i primi prelievi. Sulle acque rosse della fontana privata in via Colombo, segnalate in tempi successivi, i primi risultati di un laboratorio privato hanno già confermato la presenza di sostanze inquinanti (e sono scattate verifiche da parte delle autorità competenti). Ora l'Ansmi e i cittadini tornano a chiedere i risultati "ufficiali" delle analisi eseguite tra Cassino e Sant'Elia, proprio nella zona dove ora - a seguito delle piogge - i fanghi di color ruggine sono "tornati".

«Dopo l'assenza di piogge di questa estate le acque rosse erano "sparite" ma le ultime precipitazioni hanno fatto tornare alla luce i fanghi rossi riconducibili, sembrerebbe, a rifiuti di origine industriale. Metalli pesanti in concentrazioni elevatissime come accertato dall'Arpa Lazio nel 2016 e confermato poi dalle analisi Ansmi nel 2021, tramite un laboratorio privato. I veleni continuano a scorrere lungo i fossi per immettersi nel fiume Rapido. Per arrivare alla verità su Nocione ci sono voluti 23 anni, con tutte le conseguenze che sappiamo. Non vogliamo che qui accada lo stesso» hanno tuonato gli ambientalisti.