Una vocazione che è cresciuta nel corso del tempo e che lo ha portato a scegliere di intraprendere un cammino di fede. Un percorso che lo ha portato a diventare sacerdote. Nei giorni scorsi don Carlo Di Sotto, appena 26 anni, è tornato nella sua città, Pontecorvo, dove ha officiato la sua prima messa da sacerdote. E lo ha fatto in quella parrocchia che lo ha visto crescere e intraprendere un percorso lungo e pieno di fede, un percorso iniziato nel 2015 a soli 19 anni. Ma come nasce questa vocazione e che emozioni ha vissuto in quel giorno così particolare? È proprio lui a raccontarlo in un incontro a cuore aperto dove parla anche dei giovani, di ciò che i ragazzi possono dare alla società e di come ci sia una riscoperta dei valori e della fede.
Pochi giorni fa ha officiato la sua prima messa a Pontecorvo, la sua città. Mi racconta l'emozione di quel momento?
«Le emozioni provate sono state molteplici e certamente sono quelle che si provano quando si torna a casa. Celebrare nella parrocchia dove sono nato, dove sono cresciuto, dove ho ricevuto i sacramenti e che ha visto crescere i primi germi di vocazione, mi ha aiutato a rileggere tutto il mio vissuto, il mio percorso e capire come il Signore ha agito, mi ha guidato. Ho compreso come tutto ha portato a questa scelta».
Quando ha sentito la vocazione? E quando ha sentito che questa sarebbe stata la sua strada?
«Certamente posso dire, nel mio caso, che non c'è stato un momento in specifico in cui ho sentito la vocazione. Essa è cresciuta con me però posso dire che un momento ben preciso in cui l'ho avvertita forte, c'è stato. Sono quei momenti in cui si comprende che non hai bisogno di nient'altro. Questo mi ha fatto comprendere che questa sarebbe stata la mia strada quando ho compreso che solo il Signore poteva donarmi quella pienezza di vita che ricercavo».
In questi anni di studi e di preparazione cosa ha capito della sua fede?
«La fede non va compresa, la fede va vissuta perché è essa stessa che ti porta alla comprensione di ciò che la razionalità non esaurisce a pieno. Durante gli anni di studi e di preparazione ho avuto modo di far accrescere la fede, la fiducia nei confronti del Signore per capire se davvero mi chiamava a donare tutta la mia vita nel sacerdozio. Ho compreso che il Signore guida, che anche quando le cose ci appaiono poco chiare, contraddittorie, in realtà c'è un disegno ben specifico che deve essere portato a compimento. E la fede aiuta a fare questo cammino di introspezione, ti porta a rileggere ogni esperienza vissuta per capire come il Signore agisce nonostante non come sempre ce lo aspettiamo».
Ha mai avuto un ripensamento?
«Ripensamento mai ma ciò non significa che non siano mancate le difficoltà così come tutti i cammini che si intraprendono con verità. Il percorso di Seminario aiuta a discernere, aiuta a mettere in crisi per destabilizzare quelle false sicurezze e certezze di cui ci vestiamo. Il percorso ti aiuta a decentrarti per far capire che il centro altro non deve essere che Cristo e in Lui orientare ogni cosa. Tutto questo ovviamente non si fa con leggerezza, non si fa a cuor leggero, non si fa senza domande. Allo stesso tempo è bene che sia così perché un cammino senza domande, un cammino che non scomoda non è veritiero».
Lei è giovanissimo. Come vede e come descriverebbe i giovani di oggi?
«I giovani di oggi hanno molto da dare perché sono capaci di fare letture attente e profonde che spesso non sanno esprimere perché non gli viene offerta l'opportunità. Si sente continuamente dire che la generazione di oggi è molto diversa da quella di ieri ma, non si comprende che, è stata la generazione di ieri a formare quella odierna e che quindi ciò che va approfondito è rintracciare cosa sia andato storto in questo processo di formazione, nell'ascolto come nello stesso coinvolgimento dei giovani negli organismi di consultazione e decisionali. Certamente la globalizzazione e i continui stimoli che arrivano da ogni parte non aiutano ma non perché siano negativi, semplicemente perché sono talmente tanti che non riusciamo a gestirli. Questo porta alla confusione e la confusione genera disordine. I giovani di oggi però hanno la capacità di saper "andare oltre", una specificità che va solamente educata e indirizzata al bene».
Don Carlo, lei crede che i giovani si stiano riavvicinando alla Chiesa?
«Credo che l'attenzione non vada focalizzata sulla questione se i giovani si stanno riavvicinando o meno alla Chiesa, la domanda dovrebbe essere perché si sono allontanati. La Chiesa negli ultimi anni molto si è interrogata, basti pensare che Papa Francesco ha voluto un Sinodo dedicato al mondo giovanile. Lo sforzo che oggi la Chiesa deve fare e sta facendo è quello di entrare nel mondo dei giovani, ascoltarli, comprendere ciò che hanno dire con la consapevolezza di creare modelli nuovi, esperienze forti e autentiche. Non si tratta di dire "cose nuove" perchè la verità è eterna, ma dire le cose di sempre in maniera nuova, con un linguaggio nuovo che parta direttamente dalle esperienze che i giovani vivono».
Chiudiamo con un suo messaggio alla città di Pontecorvo. Cosa si sente di dire alla sua comunità che si è emozionata nel vederla qualche giorno fa officiare la messa nella parrocchia della Santissima Annunziata?
«Il messaggio che vorrei lasciare alla città e quindi a tutti i cittadini è: ricordiamoci sempre delle nostre origini. La nostra città può vantare una lunga tradizione di fede, di legame alla Chiesa che ha mostrato i suoi frutti basti pensare alle figure di santità: San Grimoaldo sacerdote e il Beato Grimoaldo Santamaria, passionista. Non dimentichiamo il Cardinale Aloisi Masella. Pontecorvo poi è una delle poche città che può vantare di aver avuto le rare apparizioni di San Giovanni Battista. Ricordare questi privilegi ci aiuta non solo ad essere fieri delle nostre origini, ma dovrebbe spronarci ad una sempre maggiore crescita nell'acquisire uno stile di vita sano, fatto di rispetto, partecipazione alle difficoltà del prossimo. Questo l'atteggiamento da curare: imparare a farci prossimi».