Termoidraulico e dipendente del ministero dell'Economia lavorava senza autorizzazione del dicastero, scatta la condanna della Corte dei Conti. Per l'uomo, residente a Frosinone, già condannato in sede penale, è scattata una sanzione di 10.153,26 euro. Secondo quanto prospettato dalla procura regionale della Corte dei Conti, «il dipendente del ministero dell'Economia e delle finanze, avrebbe svolto in modo continuativo attività di termoidraulico per un lungo periodo di tempo, anche come associato in partecipazione», con un'autorizzazione «solo per il periodo compreso tra il 1 febbraio 2018 ed il 31 agosto 2018». Il danno da indebita percezione è stato calcolato in 3.007 euro.

A questo, però, si aggiunge un danno, da 7.146 euro, da svolgimento di attività non autorizzata. Con la procura che gli ha contestato, alternativamente, «attività autorizzabile ma non autorizzata» o «attività svolta dal dipendente non autorizzabile». Nel corso del procedimento, peraltro, il dipendente non si è costituito ed è stato dichiarato contumace. La Corte rileva che, da un accertamento della Guardia di finanza, non risulta più residente all'indirizzo da cui al certificato del Comune di Frosinone così copia della notifica è stata depositata nel Comune di Frosinone.

Scrive la Corte presieduta dal giudice Antonio Ciaramella: «Dagli accertamenti svolti e dalla condanna intervenuta in sede penale» dal tribunale di Roma, del 2021, per i reati di false attestazioni o certificazioni e truffa, è emerso che il dipendente, «pur se assente dal servizio per malattia, si sia allontanato dal proprio domicilio per svolgere l'attività di termoidraulico, nonché abbia svolto in ogni caso tale attività (anche come associato in partecipazione) senza autorizzazione ministeriale, anche dichiarando falsamente la propria presenza in servizio». Ragion per cui, riporta la sentenza, «l'indebita percezione di emolumenti da assenteismo fraudolento (3.007 euro) è corretta e comprovata».

La Corte richiama la norma in base alla quale il dipendente che percepisce un compenso senza autorizzazione «debba versarlo al datore di lavoro pubblico, determinandosi, in mancanza, un illecito contabile da omesso versamento». E cita il fatto che il dipendente abbia stipulato, nel 2015, un contratto di associazione in partecipazione, con la qualifica di responsabile tecnico. Contestata pure l'attività lavorativa autonoma non autorizzata con mancato riversamento dei compensi. Da qui la condanna.