Preferisce essere chiamato don Max e che gli si dia del tu. È il nuovo parroco di Santa Maria Goretti: don Massimiliano Lucchi. Veronese doc, è un prete giovane, eclettico, di quelli che non si vedono tutti i giorni. Sin da piccolo si avvicina alla Chiesa e, da quanto ricorda, non c'è un prima e un dopo nella sua vocazione.

Come nasce il suo rapporto con Dio? Come da Massimiliano è diventato don Max?
«Vengo da una famiglia normale, sono scout da sempre e lo scoutismo mi ha insegnato lo spirito di servizio. Da mio papà invece ho imparato l'amore per l'arte, tanto che ho fatto l'istituto d'arte e dipingo. L'inizio della mia vocazione è stato un quadro che ho trovato sui libri di scuola: "Cristo che abbraccia San Bernardo" di San Francisco Ribalta. La consegna di San Bernardo tra le braccia di Cristo mi ha colpito a tal punto da voler provare anch'io quell'intimità con Dio. Da lì è iniziata la mia storia: da un quadro. Dico sempre che Dio mi parla attraverso l'arte e che mi ha chiamato attraverso l'arte».

Com'è arrivato a Frosinone?
«Sono un grande appassionato di musica, suono la chitarra e il basso. Come l'arte mi ha portato, da ragazzo, al seminario, allo stesso modo la musica mi ha portato qui a Frosinone».

Ci racconti...
«Tramite un musicista locale ho conosciuto la realtà di "Nuovi Orizzonti", di cui ora faccio parte. Dopo un anno di esperienza in comunità, mi è stato chiesto di fermarmi qua perché c'era la necessità di un parroco di "Nuovi Orizzonti" nella parrocchia di Santa Maria Goretti».

Che ci dice della comunità? Com'è stato trovarsi a contatto con persone affette da dipendenze?
«Credo che i tossicodipendenti arrivino a quel punto per fuggire da un qualcosa di nascosto, latente. Ma non si può pensare di scappare da un dolore tramite la droga. Ogni forma di dipendenza nasconde, secondo me, un dolore, è una fuga da qualcosa ed è mio compito tentare la guarigione del cuore di queste persone, aiutarle a sconfiggere le loro paure, a non fuggire più».

Ci parli di "Bibbia al Bar", la sua iniziativa veronese di risalto nazionale...
«La realtà veronese è estremamente creativa e mi ha sempre influenzato positivamente. C'è sempre stato in me il bisogno di inventare di tutto, qualunque cosa per avvicinarmi alla gente e portar loro la parola di Dio. Ho persino ideato un musical. "Bibbia al bar" è stata una catechesi spirituale, ma anche culturale e gastronomica fatta nei bar. Partendo da una lettura del Vangelo abbinavo una degustazione di cibo e di vino».

Ieri invece al "Bar dello Stadio" c'è stata la prima data della benedizione di Natale nei bar. Come nasce l'idea?
«L'idea parte dalla mia necessità di arrivare a più persone possibili in breve tempo, essendo qui da soli tre mesi. Ho pensato di sfruttare il clima del Natale che è un clima di incontro».

Torna l'elemento del bar: perché proprio il bar?
«Secondo me quando uno va al bar ci va per rilassarsi, per staccarsi un po' dal mondo e respirare, prima di riprendere la sua corsa in quella frenesia che è la quotidianità. Vedo il bar come un luogo di svago, di relax e di incontro, quindi come luogo privilegiato per conoscere la mia gente».

Come l'hanno presa gli esercenti di Frosinone?
«Devo dire che all'inizio, quando entravo nei bar e mi presentavo, vedevo molti sguardi sorpresi. Alcuni mi hanno detto che non avevano mai visto un prete nel loro bar! Illustrando la mia idea devo dire che tutti, dal primo all'ultimo, mi hanno accolto con molto piacere. Come tutti, anche loro, prima di essere gestori, sono persone. Sono persone che abitano un territorio e quindi se il territorio si fa voce di una presenza, di una vicinanza fa bene a tutti».

Papa Francesco ha più volte detto "Siate Chiesa in uscita". Lei lo ha preso alla lettera...
«Per me conta tanto lo "sporcarsi le mani", passami il termine, l'andare fuori. Se mi metto in canonica ad aspettare la gente, la gente non viene. Voglio andare io dalla gente, voglio andare io fuori, per strada, che sia il bar o qualunque altro posto».

Come riassumerebbe la sua idea innovativa di catechesi?
«Quello che conta più di tutto per me è dare un senso di unità. Io, parroco, sono parte del territorio e voglio conoscerlo andando in cerca delle mie pecorelle smarrite, anche fossero più di una. Per me è fondamentale andare in mezzo alla gente perché nello stare insieme le persone acquisiscono fiducia, si raccontano e si sentono custodite. Magari non verranno oggi e neanche domani, ma sanno che io ci sono, che sono qui per loro. Sono felice che grazie alla Chiesa si sentano parte di qualcosa».

Quali sono i suoi progetti futuri qui a Frosinone?
«Con la stessa semplicità che ha dato il via alla "Benedizione di Natale nei bar", che si articolerà in altri sedici appuntamenti in tutti i bar della parrocchia, la curva del Frosinone Calcio mi ha chiesto di lavorare a un'idea che li coinvolga. Hanno capito la logica ed è bello per loro sentirsi accolti. Essere il parroco di Santa Maria Goretti vuol dire anche essere il parroco dello stadio, luogo d'aggregazione per eccellenza».