A dicembre 2014 il sequestro della discarica di via Le Lame da parte dei carabinieri. Poi, nel luglio del 2015 l'ispezione della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti. Quindi, gli accertamenti per capire chi e quando avesse inquinato, mentre di pari passo andavano avanti i progetti per la bonifica del sito inserito nel Sin valle del Sacco.
Nel frattempo, nel 2017, per i reati di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari e delitti colposi contro la salute pubblica, davanti al giudice monocratico Francesca Proietti si è aperto il giudizio contro l'allora presidente del cda e il direttore tecnico della Saf, Cesare Augusto Fardelli e Roberto Suppressa, nonché gli ex dirigenti ai Lavori pubblici e all'Ambiente del Comune di Frosinone, Francesco Acanfora e Elio Noce, quest'ultimo anche in qualità di responsabile del procedimento.
Ieri, il pubblico ministero Vittorio Misiti ha chiesto l'assoluzione per tutti e quattro gli imputati. Per l'ufficio della procura, nel corso del processo, non è stata raggiunta la prova della responsabilità penale degli imputati.
Il pm ha ricordato che l'istruttoria è stata abbastanza lunga e ha cercato di far luce sulla complessità della storia della discarica. Per il pm «la discarica inquinava sin dagli anni Ottanta» tuttavia non è stato possibile dimostrare da dove provenisse l'inquinamento. Da qui la logica consulenza di chiedere una sentenza assolutoria.
Dopo il pubblico ministero, ha preso la parola l'avvocato Rosario Grieco, costituitosi parte civile per il Comune di Frosinone che ha rassegnato conclusioni opposte rispetto all'accusa. «La vicenda, per la natura del reato e per la consulenza scrupolosa, avrebbe dovuto indurre l'ufficio del pm a un giudizio responsabilità, anche in ragione di alcuni elementi acclarati in istruttoria. Sonio emersi elementi concreti e verificabili. Le analisi delle acque evidenziano profili di danno e di una certa rilevanza», ha concluso. Il giudice a quel punto ha rinviato al 13 dicembre per il proseguo della discussione.
Le indagini dei carabinieri si sono concentrate sulla messa in sicurezza del sito, con riferimento alla fuoriuscita del percolato. Viene contestato l'«aver posto in essere insufficienti interventi di messa in sicurezza o interventi non collaudati». E poi «l'aver omesso le indispensabili operazioni di bonifica, così determinando o comunque non impedendo che il percolato della discarica raggiungesse la falda acquifera sottostante». L'acqua, stando alla ricostruzione dell'accusa, respinta dagli imputati, sarebbe stata contaminata da metalli pesanti quali alluminio, ferro, manganese, bario, nichel e piombo in quantità superiori ai limiti. Ciò avrebbe provocato l'inquinamento delle acque, potenzialmente destinabili, attraverso le coltivazioni, al consumo umano.
In pratica, per la procura, nonostante i diversi interventi di bonifica per i quali sono stati spesi fondi pubblici, le misure adottate si sono rilevate inefficaci. Sulla base dei sopralluoghi effettuati, nel corso degli anni, è stato contestato il mancato funzionamento delle pompe di aspirazione dell'acqua di falda dai pozzi e di quelle di aspirazione del percolato. Fari puntati anche sulle impermeabilizzazionia.
Gli imputati difesi dagli avvocati Domenico Marzi, Calogero e Antonino Nobile, Sandro Salera e Vincenzo Galassi hanno sempre contestato tutte le accuse. E fanno leva anche su una consulenza in base alla quale il collaudo ha dimostrato che l'opera era stata realizzata a regola d'arte e non ci poteva essere fuoriuscita di percolato. Dichiarazioni che erano state ribadite anche dall'architetto Acanfora quando è stato interrogato. Sulla base delle risultanze dell'audizione di un chimico, chiamato dalle difese, anche il piano di caratterizzazione del sito era regolare.
Nel corso del processo i testi dell'accusa avevano spiegato la genesi dell'inchiesta. Tra gli altri, sulla scelta del sito, era stato sentito l'allora dirigente dell'Arpa che aveva evidenziato «l'assurdità di una discarica a cento metri dall'ansa del fiume».
La discarica di via Le Lame è stata utilizzata sin dal 1956 e poi fino al 2002. È composta da tre bacini, il primo è del 1987 (anche se i conferimenti sono iniziati molto prima), il secondo ha visto un impiego dal 1992 al 1994, il terzo dal 1994 al 2002. Tra rifiuti e sovvalli si stima che il sito abbia ospitato 651.000 metri cubi.