L'unico contatto che ha con i genitori, ormai da sei mesi, è il telefono. Grazie al quale riesce a parlare anche con il padre, rinchiuso nel carcere di Abidjan, in Costa d'Avorio, dopo l'arresto avvenuto il 31 maggio con pesanti capi d'imputazione: traffico internazionale di droga, associazione per delinquere e riciclaggio di denaro. I primi due sono caduti dopo l'unico interrogatorio. La madre è bloccata in Africa a seguito del sequestro del passaporto.
Francesco, 27 anni, pilota di motociclette, è il figlio maggiore dell'ingegnere edile Maurizio Cocco e di Assunta Giorgilli, la coppia fiuggina al centro di una complicata vicenda giudiziaria resa ancora più drammatica dalla gestione della giustizia nel Paese africano. Insieme al fratello Alessandro, studente universitario diciannovenne, si sta battendo per riportare i genitori a casa al più presto.

Come sta suo padre?
«Non sta bene. Da sei mesi è rinchiuso in una cella senza poter vedere nessuno. Una sola volta ha incontrato l'avvocato che abbiamo in Africa, poi più nulla. Non esce neanche dalla stanza, passa le giornate buttato sul letto».

E sua madre?
«Quando ha saputo dell'arresto di papà è partita subito per la Costa d'Avorio. Dopo un mese e mezzo stava tornando in Italia per affrontare un intervento chirurgico, ma è stata bloccata in aeroporto. Le hanno sequestrato il passaporto senza specificare il motivo. Ora vive con un'amica perché ci hanno bloccato i conti e le carte di credito e non può pagare nemmeno l'affitto».

Su quali elementi si fondano le accuse mosse all'ingegnere Cocco?
«Zero. Le accuse sono venute fuori perché il suo telefono è stato rilevato vicino a due persone che trafficavano droga, un colombiano e uno spagnolo che sono stati arrestati, che lui non conosce e non ha mai visto. Inoltre, sostengono che il 15 aprile mio padre ha incontrato queste persone, ma quel giorno papà era a Fiuggi, sul passaporto risulta il visto con il permesso. Non hanno elementi per accusarlo, ma resta in carcere, ci dicono solo di aspettare».

Cosa dice l'ambasciata italiana? Come si sta muovendo dal punto di vista diplomatico?
«Non fa nulla. Una sola volta un addetto dell'ambasciata è andato in carcere ad assicurarsi che mio padre mangiasse».

Quali altri passi state muovendo per sbloccare la situazione? La Farnesina è al corrente della vicenda?
«La Farnesina sa tutto, però sostiene che non può fare nulla prima del processo. Ma in quel carcere ci sono persone che attendono di parlare con un giudice anche da sette anni, la giustizia in questi Paesi è lentissima. Abbiamo lanciato un appello al ministro degli affari esteri Antonio Tajani, che è anche delle nostre parti, speriamo in un suo intervento».

Cosa le racconta suo padre della vita in carcere? Come viene trattato?
«In carcere viene trattato bene, ma può immaginare in quale stato d'animo si trova sapendo di essere innocente e in quali condizioni igieniche in un carcere che ospita 14.000 detenuti e dove non ci sono neanche le docce. Dice che, una volta risolta questa situazione, tornerà in Italia e non rimetterà mai più piede in Africa».

Può incontrare sua madre in carcere?
«Sì, ogni volta va richiesta l'autorizzazione e non sempre viene accordata, ma una o due volte alla settimana mamma riesce a vederlo per portargli da mangiare».