Costi dell'energia opprimenti e scarsa liquidità. Le imprese, nell'impossibilità di delineare piani a lungo termine, navigano a vista. A riscontrare le maggiori difficoltà, chiaramente, le aziende energivore, ma in tutti i settori domina l'incertezza. A pagare lo scotto maggiore sono le micro imprese. Molte già chiuse e altre a rischio chiusura. Ma anche le aziende di dimensioni maggiori sono in forte sofferenza. Sono diverse quelle che hanno già fatto ricorso alla cassa integrazione come misura per far fronte al caro energia. E tante altre prevedono che vi ricorreranno.
Il monito
«In assenza di provvedimenti importanti dalle istituzioni si prevede un forte ricorso a tale strumento». Questo il grido d'allarme dei sindacati e delle associazioni datoriali, come spiega Pasquale Legnante, segretario provinciale e organizzativo della Cisl. «È già ricorsa alla cassa integrazione, ad esempio, la Burgo di Sora». Le aziende cartarie, infatti, sono tra quelle che stanno riscontrado maggiori difficoltà, dovendo generare vapore e, quindi, consumando molta energia. «Ci sono poi altre realtà che al momento non l'hanno richiesta – aggiunge – ma a breve saranno costrette a farlo. Il caro energia è un problema emerso in più di un incontro sindacale. Il più delle volte i costi di produzione superano i ricavi e nessuno può pensare di lavorare per rimetterci, quindi le imprese dovranno per forza di cose attivare questo strumento», conclude Legnante. «Anche se il numero di aziende che sta ricorrendo alla cassa integrazione è ancora limitato – dice il segretario provinciale Fim Cisl Mirko Marsella – c'è molta preoccupazione e la speranza è che ci siano le risposte giuste da parte sia dell'Unione Europea sia del governo italiano». Mentre alcune imprese resistono, però, alcuni settori «sono allo stremo», come spiega Antonella Valeriani, segretaria generale provinciale Femca Cisl. È il caso di aziende energivore come la Saxa Gres di Anagni, che produce ceramica, che ha dovuto fermare i forni. Nella filiera dell'automotive, poi, hanno dovuto ricorrere alla cassa integrazione le aziende di produzione del vetro e della plastica. «Anche l'Agc Automotive di Roccasecca ha dovuto richiederla – aggiunge la Valeriani – per razionalizzare i turni e mantenere i costi a un livello sopportabile. Ma se questa situazione dovesse prolungarsi non si farebbero utili. Si spera che si arrivi velocemente a qualche provvedimento. Questa situazione, inoltre, si riflette sul potere d'acquisto degli operai. In alcuni casi, le aziende, non avendo liquidità, non anticipano gli importi della cassa integrazione, per cui – spiega – il flusso di arrivo di ammortizzatori non è continuo e ciò genera una sofferenza».
Edilizia
Un comparto che resiste è quello dell'edilizia, ma non mancano le difficoltà all'interno della filiera. «È un settore in crescita, ma, in una fase come questa, anche in questo ambito c'è totale incertezza». A fornire un'analisi della situazione il segretario Ficla Cisl regionale Giustino Gatti. «Richiedono la cassa integrazione – dice – soprattutto le aziende del settore estrattivo, come quelle di Coreno Ausonio, di frantumazione e del bitume, che lavorano con il gas. Anche il settore edile di per sé sta affrontando costi elevati – aggiunge – ma per il momento i dati sulla cassa integrazione sono bassi, anche perché le imprese devono continuare a far fronte alle scadenze per la consegna dei lavori. Tante aziende, poi, pur di non perdere le commesse, nonostante bollette fino a sette volte più elevate, stanno continuando a lavorare, ma con margini al limite».
L'appello di Confimprese
«Se non ci sarà un provvedimento correttivo immediato moltissime imprese saranno costrette a richiedere la cassa integrazione». Questo il monito del presidente di Confimprese Italia Guido D'Amico. «Le aziende del nostro tessuto associativo che lo faranno entro l'anno sono oltre il 20% – spiega – Di queste, il 10% è addirittura a rischio chiusura entro l'anno. E quelle che hanno già chiuso sono il 2-3%. Senza provvedimenti adeguati questo 10% diventerà il 30% l'anno prossimo», argomenta. «Il tipo di intervento che ci aspettiamo – aggiunge – non è un credito di imposta, ma un contributo per il pagamento delle bollette almeno per i mesi di giugno, luglio, agosto e settembre. C'è da sottolineare, inoltre, che non tutte le imprese hanno un numero di dipendenti tale da poter chiedere la cassa integrazione. L'unica soluzione per alcune è la chiusura. Si tratta soprattutto di micro imprese che non hanno ricevuto, pur chiedendole, idonee dilazioni da parte delle aziende di somministrazione di luce e gas. Una rateizzazione a tre o quattro mesi non è sufficiente. Questo tipo di dilazione una presa in giro», tuona D'Amico.