Estorsione, lesioni personali e minacce, pure di morte. Accuse pesantissime dalle quali i cinque coinvolti - destinatari di diverse misure cautelari - si dovranno smarcare. I primi due, Nicandro De Silva di 26 anni e Antonio De Silva di 24 anni - assistiti dall'avvocato Mariano Giuliano - sono stati già ascoltati nel pomeriggio di mercoledì: uno ha scelto la strada del silenzio, l'altro invece ha chiarito rigettando le accuse. Entrambi, lo ricordiamo, dopo l'applicazione della misura cautelare sono stati trasferiti in carcere. Questa mattina, invece, gli interrogatori fissati riguarderanno Cristian Grimaudo di 32 anni, Raffaele Cavaliere di 24 anni (di Cassino) entrambi ai domiciliari, assistiti dagli avvocati Elisabetta Nardone ed Ernesto Cassone; e Belinda Molto Pavone (nata in Etiopia ma residente a Pignataro Interamna) l'unica alla quale è stato applicato solo l'obbligo di dimora (assistita dall'avvocato Gemma Farignoli).

Il costrutto accusatorio è particolarmente complesso. Come accertato dai militari della Compagnia di Cassino, si tratterebbe di un paio di contestazioni differenti ascrivibili al periodo che va da agosto a settembre del 2021, mosse a vario titolo agli indagati: quella di aver dato vita a una sorta di racket delle case popolari in danno di un occupante abusivo di origini straniere. L'altra contestazione, invece, riguarderebbe una sorta di "regolamento" di conti dopo un furto.
Per quanto riguarda la prima accusa, a sostanziare l'attività dei militari sarebbe stata la volontà del cittadino marocchino di non corrispondere il denaro richiesto: circa 2.000 euro per restare nell'abitazione, occupata con la forza: è da questo momento che i militari installano delle telecamere di videosorveglianza persino su una chiesa. Elemento chiave per gli accertamenti portati avanti. Nalle deuncia un quadro molto forte: per convincere il marocchino a "collaborare" le minacce non sarebbero state neppure velate: «Mi devi dare 2.000 euro se vuoi restare, altrimenti ti brucio la casa e la macchina» o «Puoi portare tutti i marocchini che vuoi, non mi importa. Tanto ti faccio la guerra».

A tenere "unito" il primo capo di imputazione al secondo ci sarebbe per gli inquirenti un elemento cardine: la violenza. Sarebbero i metodi violenti, verbali ma anche fisici, per il gip Casinelli, a incutere terrore nelle vittime. Il secondo capo d'imputazione contestato si basa sempre su una denuncia, ma non del cittadino marocchino. Di un altro soggetto ritenuto l'autore di un furto a casa della signora Belinda. Sotto la lente ancora i metodi utilizzati: in questo caso, per far "confessare" il presunto ladro. Quest'ultimo, una volta condotto da alcuni degli indagati a casa dei fratelli De Silva, avrebbe a suo dire ricevuto pure minacce di morte. Poi sarebbe stato preparato un cappio che gli sarebbe stato messo intorno al collo. «Mi mettevano il cappio attorno al collo, tiravano il guinzaglio fino a farmi strozzare. Per poi mollare la presa. E dicevano che stavano facendo le prove per impiccarmi» racconta il denunciante agli inquirenti. Fino a che sarebbe riuscito a fuggire dal balcone, lanciandosi nel prato sottostante. Una ricostruzione che dovrà certamente essere confermata nelle aule di giustizia. Intanto, oggi, a prendere la scena sarà la verità degli indagati.