Multato per violazione del Dpcm che vietava gli spostamenti a causa del Covid, il tribunale gli dà ragione per la seconda volta.
Il tribunale di Frosinone, infatti, ha respinto l'appello della prefettura, la quale aveva impugnato la decisione del giudice di pace di accogliere il ricorso di un automobilista frusinate, difeso dall'avvocato Giuseppe Cosimato, contro una sanzione, elevata l'11 aprile 2020, dalla polizia stradale.

La sentenza del giudice Luigi Petraccone segue il solco del principio della illegittimità delle compressioni delle libertà individuali fatta con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Scrive il magistrato: «la delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri il 31.1.2020 (come poi "prorogata") appare addirittura illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. Una volta ravvisata la illegittimità della delibera del C.d.M. del 31.01.2020 (e conseguenti "proroghe"), debbono necessariamente reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19».

Il giudice non riconosce «l'idoneità dei Dpcm a comprimere i diritti fondamentali». La delibera «non avente forza di legge», secondo il giudice, «è stata emanata al di fuori dei casi previsti dalla legge». In sostanza, il Consiglio dei ministri ha il potere di ordinanza, in materia di protezione civile, tuttavia, il codice della protezione civile individua i margini nell'alveo delle emergenze connesse con calamità naturali o derivanti dall'attività dell'uomo. «Situazioni di "rischio sanitario", qual è quello derivato dal Covid-19 (certamente evento calamitoso), non sono inclusi».

Per essere più chiari, nella sentenza si dà atto che «in altri termini, viene delegato al presidente del Consiglio dei ministri il potere di attuare misure restrittive, molto ampio e senza indicazione di alcun limite, nemmeno temporale, con (conseguente, illegittima) compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali la libertà di movimento e di riunione (artt. 16 e 17 Cost.), il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, anche in forma associata (art. 19 Cost.), il diritto alla scuola (art. 34 Cost.), il diritto alla libertà di impresa (art. 41 Cost.), e, nella fattispecie, addirittura il diritto alla inviolabilità del domicilio di cui all'art. 14 della Costituzione (e cfr. art. 13 Cost.); e tutto ciò non con legge ordinaria, ma con un decreto del presidente del Consiglio, che appare, a parere di questo giudicante, inficiato da illegittimità, anche per i seguenti ulteriori motivi: a) mancanza di fissazione di un effettivo termine di efficacia; b) elencazione meramente esemplificativa delle misure di gestione dell'emergenza adottabili dal presidente del Consiglio dei ministri; c) omessa disciplina dei relativi poteri. Perciò, dubitandosi, sotto molteplici profili, circa la legittimità e validità del Dpcm in questione (e dei successivi) che ha(nno) imposto la compressione di diritti fondamentali, e, quindi, dello stesso Dpcm per cui è causa (e degli altri atti amministrativi conseguenti), bene ha fatto il giudice di prime cure a disapplicarlo».

Da qui la pronuncia di «illegittimità della sanzione irrogata.... con la conseguenza che la stessa deve essere annullata». Il tribunale ha poi compensato le spese, vista la novità delle questioni trattate, ma ha imposto alla prefettura il pagamento di «un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione».