Caporalato, lavoro nero, usura e infiltrazioni mafiose. Sono soltanto alcuni dei fenomeni ancora presenti nel settore agricolo che sono stati analizzati nel rapporto presentato realizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, in collaborazione con la Regione Lazio e il Ministero della Transizione Ecologica, presentato da Coldiretti Lazio. Il documento analizza il fenomeno dell'illegalità e della criminalità nelle filiere agroalimentari e nell'ambiente delle province del Lazio.
Ad analizzare i dati il magistrato Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio Agromafie, il vice presidente della Regione Lazio Daniele Leodori, l'avvocato generale presso la Corte di Cassazione e coordinatore del gruppo di ricerca, Pasquale Fimiani, Riccardo Fargione del Centro Studi di Coldiretti "Divulga", Aldo Papotto, capo divisione Gestione Risorse Finanziarie, Pianificazione Spesa e Controllo del Commissario di Governo Bonifica siti contaminati e discariche abusive e il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.
Covid e crisi
La crisi economica causata dal Covid-19 ha consentito alle mafie di radicarsi, soprattutto nel settore della ristorazione. La filiera agromafiosa, che condiziona il sistema di produzione agricolo e con esso l'intero network imprenditoriale collegato, coinvolge da tempo anche la ristorazione. I numeri illustrati da Coldiretti sono impietosi. Nel Lazio si stima un tasso usuraio medio del 120% annuo anche nel comparto agricolo con un giro di affari complessivo pari a quaranta milioni di euro. Un dato che è molto più alto nella provincia romana e di Latina, rispettivamente di quindici milioni e mezzo e tredici milioni ma non risparmia le altre province (due milioni in Ciociaria). Nel Lazio sono circa cinquantamila le imprese presenti, che forniscono lavoro a settantamila addetti. La camorra in questo contesto occupa una posizione di spicco su tutto il territorio regionale, con ottantacinque aziende confiscate, pari al 26,4% del totale. Il suo principale settore di infiltrazione, si legge nel rapporto, è quello della ristorazione, che rappresenta tra bar e ristoranti il 58,5% del business criminale. Le aree di infiltrazione della ‘ndrangheta, che rispetto alla Camorra ha un ventaglio di interessi più variegato e meno legato al comparto della ristorazione, sono infatti principalmente nei settori connessi alle costruzioni, al comparto immobiliare e al commercio sia all'ingrosso sia al dettaglio.
Il fenomeno del caporalato
Nel dossier un focus specifico è dedicato al caporalato che fa registrare un'elevata concentrazione di casi soprattutto nell'Agropontino e nella provincia romana. Gli occupati nel settore agricolo nel Lazio annualmente registrati negli archivi dell'Inps ammontano nel 2019 (ultimo dato disponibile) a 45.236 unità, come rilevato dai dati elaborati dal Crea-Pb (Ministero delle Politiche Agricole). Il sistema occupazionale che ne deriva mostra la prevalenza del lavoro svolto a tempo determinato su quello a tempo indeterminato, appannaggio, in maniera preponderante, delle maestranze di origine immigrata (Ue e non Ue), superando in questo caso, seppure leggermente, il 90% (24.086 unità) degli impiegati. La restante quota svolge attività a tempo indeterminato (1.262 unità sul totale complessivo di 25.348). La distribuzione degli occupati a livello provinciale, a prescindere dalla nazionalità, vede 20.824 occupati (il 46% dei 45.236 occupati in regione) nella provincia di Latina, 11.627 (25,7%) e 2.006 (4,4%) in quella di Frosinone. I lavoratori agricoli sul territorio laziale sono soprattutto romeni, marocchini e albanesi. Per i braccianti sfruttati e vittime di caporalato si va da lunghi orari di lavoro giornaliero alla bassa retribuzione, che è in genere minore di circa un terzo/la metà, dunque intorno ai 500/700 euro invece di circa 1.100/1.200.
L'analisi di Coldiretti
Ad analizzare il report è David Granieri, presidente di Coldiretti Lazio: «La crisi sociale ed economica determinata dalla pandemia ha avuto un impatto devastante sul comparto agroalimentare. Le inevitabili chiusure per lunghi periodi imposte dal lockdown hanno pesato su ristoranti e bar, mentre l'inflazione ha fatto lievitare i prezzi del cibo e il costo delle materie prime è notevolmente aumentato con una deflazione nei campi. Aspetti che hanno contribuito alla crescita di fenomeni come l'usura e hanno creato terreno fertile per le organizzazioni criminali che hanno sfruttato le difficoltà economiche di chi lavora in questo settore. È fondamentale continuare a svolgere un attento monitoraggio, così come la Fondazione Osservazione Agromafie sta facendo, e mantenere alta l'attenzione sui fenomeni mafiosi».