La volontà di uccidere provata per uno solo dei due omicidi. La Corte d'assise di Frosinone ha pubblicato le motivazioni della condanna a 30 anni di Daniele Cestra, il 45enne di Sabaudia, accusato di aver ucciso due compagni di cella nel periodo di detenzione a Frosinone. Ora gli avvocati Angelo Palmieri e Sinuhe Luccone, stanno preparando l'appello, con l'obiettivo di far cadere le accuse anche per il primo omicidio.

Quanto al decesso di Peppino Mari, la Corte, presieduta dal giudice Francesco Mancini (a latere Chiara Doglietto), scrive che il consulente medico Daniela Lucidi, «ha precisato che si è trattato di uno strangolamento incompleto». E cioè che «la vittima si trovasse al momento dell'evento in posizione supina con l'aggressore in posizione sovrastante che la comprimeva con il peso del corpo, così provocando diverse fratture». In più la vittima, secondo la dottoressa, era «soggetto claudicante e necessitante di un accompagnatore, e quindi con scarsa agilità, poco compatibile con una dinamica suicidiaria».

La Corte evidenzia le testimonianze di altri detenuti dalle quali «è emerso un rapporto conflittuale tra il Mari e il Cestra». L'attenzione della Corte si sposta su un'altra circostanza: «il giorno prima del decesso il teste ha riferito di aver fatto richiesta insieme al Mari di condividere la stanza».

Secondo la Corte, «Cestra ha ucciso il proprio compagno di cella mediante la compressione del collo con utilizzo di un mezzo soffice e l'ostruzione delle vie aeree respiratorie». Per i giudici sono «inequivocabili (gli) elementi che Mari sia stato ucciso». La volontà di uccidere, come ipotizzato dal consulente medico, secondo la Corte «trova del resto conferma in un altro aspetto» ovvero «l'imputato, che si è avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio e ha scelto di non sottoporsi ad esame nel corso del dibattimento e la difesa non hanno offerto alcuna giustificazione alternativa».

Le lesioni che Cestra presentava «risultano pienamente compatibili con una colluttazione e con un tentativo della vittima di sottrarsi all'aggressione». E ancora: il quadro del consulente del pm è «inequivoco, chiaro, completo e incontrovertibile, tanto che neppure la difesa ha offerto una valutazione medico legale alternativa». La Corte sottolinea come il primo agente entrato in cella abbia notato «che la televisione era accesa ad alto volume, circostanza che verosimilmenrte spiega la mancata percezione di rumori sospetti». Rispetto alle aggravanti, la Corte esclude la crudeltà e il mezzo insidioso. Applicata la recidiva in quanto Cestra è già stato condannato con sentenza irrevocabile per omicidio volontario, pena che stava scontando «in carcere quando ha ucciso il Mari», scrive la Corte. Da qui la condanna a 30 anni.

Quanto all'omicidio di Pietro Paolo Bassi la Corte ha scritto che «le risultanze istruttorie non consentono di ritenere provata ogni ragionevole dubbio la responsabilità del Cestra». I dati offerti dall'indagine medico legale, considerato che il copro della vittima era stato riesumato, «appaiono, di per sè soli, insufficienti a ritenere provata la condotta omicidiaria». E nemmeno i testi hanno apportato elementi significativi. Da qui l'assoluzione per questa seconda imputazione.