Nel Lazio almeno 258.752 famiglie, fino un massimo di 362.253, e almeno 575.570 persone, fino a un massimo di 805.798, sono a rischio di povertà energetica.
È la fotografia scattata dalla Cgia di Mestre in uno studio parametrato sugli ultimi dati disponibili del Rapporto Oipe 2020. Dati allarmanti, anche perché sicuramente sottodimensionati, poiché sono stati stimati ben prima dello shock energetico scoppiato nel nostro Paese a partire dalla seconda metà del 2021, anche se al lazio viene assegnata un frequenza medio bassa della povertà energetica con un tasso che oscilla tra il 10 e il 14% della popolazione residente.

Secondo l'elaborazione degli artigiani veneti, si stimano in condizioni di povertà energetica i nuclei familiari che non riescono a utilizzare con regolarità l'impianto di riscaldamento d'inverno, quello di raffrescamento d'estate e, a causa delle precarie condizioni economiche, non dispongono o utilizzano saltuariamente gli elettrodomestici ad elevato consumo di energia (lavastoviglie, lavatrice, asciugatrice, aspirapolvere, micro onde, forno elettrico, ecc...). Nell'identikit delle famiglie "vulnerabili" energeticamente spesso si trovano quelle con un elevato numero di componenti che risiedono in alloggi in cattivo stato di conservazione, con il capofamiglia giovane, spesso inoccupato e/o immigrato.

La geografia della povertà
A livello geografico la situazione più critica si verifica soprattutto nel Mezzogiorno: in questa macro area la frequenza della povertà energetica è la più elevata d'Italia e interessa tra il 24 e il 36 per cento delle famiglie residenti in questo territorio. In termini assoluti è la Campania la regione maggiormente in difficoltà: il numero delle famiglie che utilizza saltuariamente luce e gas oscilla tra le 519.000 e le 779.000 unità. Altrettanto critica è la situazione in Sicilia dove la forchetta oscilla tra i 481.000 e i 722.000 nuclei familiari e in Calabria che presenta un range tra le 191.000 e le 287.000 famiglie in difficoltà nell'utilizzo quotidiano di energia elettrica e metano

Un po' meno critica, ma comunque con una "vulnerabilità" energetica medio-alta, scorgiamo le altre regioni del Mezzogiorno e alcune del Centro che presentano una forchetta che varia dal 14 al 24 per cento delle famiglie residenti: la Puglia (con un numero di nuclei compreso tra i 223.000 e gli 383.000), la Sardegna (tra 102.000 e 174.000), le Marche (tra 90.000 e 154.000), l'Abruzzo (tra 77.000 e 132.000) e l'Umbria (tra 53.000 e 91.000). La situazione migliora man mano che si risale la penisola. Nella fascia a rischio medio-bassa (tra il 10 e il 14 per cento delle famiglie coinvolte), notiamo il Lazio e alcune regioni del Nord: Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta. Nella fascia più bassa, infine, quella che comprende un numero di nuclei familiari in difficoltà che va dal 6 al 10 per cento del totale, annovera la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna, la Toscana e il Trentino Alto Adige. Il totale nazionale parla di 4 milioni di famiglie e di 9 milioni di persone a rischio povertà energetica.

I più colpiti
L'aumento esponenziale dei prezzi delle bollette prevista per il prossimo autunno potrebbe peggiorare notevolmente la situazione economica di tantissime famiglie, soprattutto quelle composte da lavoratori autonomi. Nel ricordare che il 70 per cento circa degli artigiani e dei commercianti lavora da solo, ovvero non ha né dipendenti né collaboratori familiari, moltissimi artigiani, piccoli commercianti e partite Iva stanno pagando due volte lo straordinario aumento registrato in questi ultimi 6 mesi dalle bollette di luce e gas. La prima come utenti domestici e la seconda come piccoli imprenditori per riscaldare/raffrescare e illuminare le proprie botteghe e negozi.

E nonostante le misure di mitigazione introdotte in questi ultimi mesi dal Governo Draghi, i costi energetici sono esplosi, raggiungendo livelli mai visti nel recente passato. Si ricorda, inoltre, che dagli ultimi dati elaborati dall'Istat e riferiti al 2019, il rischio povertà delle famiglie presenti in Italia con un reddito principale ascrivibile ad un lavoratore autonomo era pari al 25,1 per cento, contro il 20 per cento riconducibile a famiglie con fonte di reddito principale da lavoro dipendente. E con la crisi pandemica e il conseguente lockdown imposto a tantissime attività "scoppiate" a inizio marzo del 2020, negli ultimi 2,5 anni il differenziale tra queste due tipologie familiari potrebbe essere addirittura aumentato.