Ognuno dovrebbe aggiungere «il suo piccolo mattone» di civiltà in una perenne ri-costruzione della città, di un luogo che la Storia ha drammaticamente messo sotto gli occhi attenti del mondo intero. Ma lo ha fatto anche in maniera ammirevole e diventando un esempio per tutto il pianeta. Bruno Galasso, scrittore molto apprezzato e operatore culturale, oltre che consigliere comunale di maggioranza estende il termine "cultura" a una sorta di responsabilità individuale rispetto a tutto ciò che ci circonda, indipendentemente dal dovere delle istituzioni.

Una città studiata e ammirata in tutto il mondo, quale dovere o responsabilità dovrebbero sentirsi addosso gli abitanti?
«Credo che il compito di ciascun cassinate sia quello di agire, parlare e scrivere sentendosi costantemente investito della responsabilità di rappresentare una città unica nel suo genere. Essere abitanti consapevoli della "Città della pace" significa assumere, ognuno per la propria parte, l'impegno a tenere alta la guardia su aspetti fondamentali come, ad esempio, la qualità della vita, il decoro urbano, l'accoglienza, i servizi, l'attenzione agli ultimi, agli anziani e ai disabili, la cultura e un superiore gusto della bellezza. Dovremmo essere tutti reciprocamente più esigenti, riguardo a questi temi: oltre a delegare la realizzazione delle proprie aspettative ai propri rappresentanti, ciascuno di noi dovrebbe aggiungere il suo piccolo mattone di civiltà nella ri-costruzione di un luogo che la Storia ha drammaticamente messo sotto gli occhi attenti del mondo intero. Chi viene qui a lavorare, a studiare, a visitare, a commemorare dovrebbe portare via, negli occhi, nel cuore e nella mente, la voglia di tornarci e l'ansia di raccontarlo. Finora, e per decenni, gran parte di tutto ciò è stato disatteso; è ormai ora di correggere la rotta, e mi sembra di poter dire che, finalmente, ci si sta provando, con entusiasmo e sincerità d'intenti. Il mio sogno inconfessabile sarebbe la creazione di tanti piccoli "Palazzi della Cultura" anche nelle periferie. Chissà, magari un bel giorno riusciremo a vedere anche questo».

La cultura è un po' l'anello mancante della società, si ha sempre l'impressione che sia un di più. Secondo lei che ruolo ha invece nella vita di una persona?
«Il termine "cultura" è abitualmente visto con sospetto, e gli "intellettuali", quelli veri, anche qui da noi, sono spesso mal tollerati a causa della distanza oggettiva che li separa dagli altri. Non siamo storicamente propensi a considerare la cultura come un bene prezioso, ma questo è da sempre uno "sport" nazionale, e temo che sia ormai endemico. Tutto ciò è causato dalla non abitudine alla bellezza, dall'assuefazione al minimo indispensabile, da un menefreghismo storico, consolidato dalla pessima involuzione degli ultimi anni, figlia di tanti padri e madri che non sto qui a elencare, e che spesso fa addirittura diffidare anche di quelli come me che, lungi dal poter essere annoverati fra gli intellettuali, tentano di promuovere la cultura, nel proprio piccolo, e con i mezzi che hanno a disposizione. L'equivoco di fondo sta proprio in questo: la cultura personale, a differenza di quel si tende a credere, non è sapere tutto e/o parlare e scrivere in modo talvolta perfino incomprensibile, ammirando l'ombelico della propria bravura. A mio modesto parere, la cultura di ciascuno di noi dovrebbe consistere in una dotazione minima di consapevolezza del bello che andrebbe formata da bambini, a scuola e in famiglia, un passettino per volta, per ritrovarsi da grandi con un tesoretto che non dovrà servire a fregiarsi del titolo (spesso abusato) di "intellettuale", ma solo a vivere meglio nel proprio mondo quotidiano, e a desiderare di salire ogni giorno di un nuovo gradino, invece di accontentarsi stolidamente di quello che già c'è. Proprio per questo, non è il momento di fermarsi, anzi, è proprio adesso che tutti dobbiamo fare qualcosa di più, qualcosa di nuovo. Ne abbiamo il dovere».

I giovani, anche in questa città, sono interessati ad altro. E spesso questo "altro" è nocivo per se stessi e per gli altri. Non c'è una formula magica, è chiaro, ma in quale direzione conviene andare per coinvolgerli di più?
«Al netto di ciò che definisci "nocivo" (che è già oggetto di cura degli Enti e delle autorità preposte), sotto l'aspetto strettamente culturale non credo sia più possibile, e non sarebbe neppure molto intelligente, scontrarsi frontalmente con nuove tendenze che non mi sento di definire per forza in antitesi alla cultura. Tutto ciò che è nuovo va avanti da sé, incurante delle nostre lamentele. Solo in seguito, passerà al vaglio del Tempo e della Storia, e non più della cronaca. Grandi artisti, intellettuali e scrittori innovativi di ogni epoca sono stati travolti dalla malevolenza dei propri contemporanei e quindi, vivendo ancora nella cronaca, quello che noi adulti possiamo fare è affiancare all'impeto del nuovo che avanza la solidità della bellezza consolidata nel tempo, e i copiosi frutti che continua a produrre, confidando nella capacità di discernimento delle nuove generazioni. Nel mio piccolo, avendo scritto un romanzo ambientato nel 1948, in un paesino rurale, ho avuto il piacere inatteso e intenso di essere riuscito a entusiasmare gli studenti di un Istituto di Istruzione Superiore di Cassino. Per un "boomer" come me, questa è stata la prova che la mia personale ricerca del bello si può incontrare, sorprendentemente e con successo, con persone di ogni età che cercano la stessa cosa fra ciò che di nuovo gli viene quotidianamente proposto da più parti. In conclusione, è compito di tutti noi lavorare per la diffusione della bellezza: è l'unica strada possibile per lasciare un mondo migliore alle nuove generazioni».