Tuzi aveva paura di essere incastrato. Lo confidò al suo avvocato prendendo appuntamento per la settimana successiva. Ma a quell'appuntamento il brigadiere non si presentò mai: tre giorni prima di quella data si tolse la vita in auto con la pistola d'ordinanza. A raccontare le ultime confidenze di Santino Tuzi, a distanza di 14 anni, è stato l'avvocato Renato Rea, sindaco di Arpino. «Tuzi venne al mio studio per parlare di un provvedimento disciplinare a suo carico. Aggiornammo l'appuntamento al lunedì successivo. Ricordo che quando lo stavo accompagnando mi disse: "Senta avvocato, mercoledì è libero? Perché devo essere ascoltato in procura per il caso di Serena. Già sono stato interrogato, non vorrei che mi possano incastrare".

Gli dissi che non doveva preoccuparsi, di dire le cose che sapeva. Di dire la verità» afferma Rea. Che ricorda pure di avergli detto che se non fosse stato indagato, non avrebbe avuto bisogno di un legale. «Era molto turbato. A cose fatte ho pensato... Chissà se l'avessi invitato a risedersi quel giorno» aggiunge. E sottolinea ancora come Santino fosse preoccupato: «Me lo disse sulla porta. Dovevamo vederci il lunedì successivo. Ma purtroppo non accadde mai». Santino aveva raggiunto lo studio dell'avvocato Rea per un'altra questione: «Dovevo preparare una memoria in relazione a una questione disciplinare» afferma l'avvocato Rea. In mezzo denunce reciproche per i buoni carburante. «Mi disse "non vorrei che mi incastrano". Temeva un complotto in suo danno. Temeva che ce l'avessero con lui».

Le parole del colonnello
«Il procuratore di Cassino mi fa presente che dovevamo riaprire il caso. E ripartiamo dalle testimonianze. Concordiamo con i pm una serie di accertamenti da fare. Quando arriva l'informativa iniziano le attività. Ricordo gli interrogatori che facemmo a tutti. Quando arrivammo alla caserma avevamo già approfondito tutti gli aspetti delle altre piste: l'unica da vagliare era quella della caserma. Sia Tuzi che Suprano non erano più effettivi lì. Tuzi disse per la prima volta di aver visto Serena in caserma. Con il Ris facemmo il controllo con il luminol: un'attività doverosa ma con prevedibile esito negativo. Tuzi, con quelle dichiarazioni, aprì uno scenario clamoroso».

A parlare, a lungo, è il generale ora in pensione Luigi Sparagna, allora a capo del Comando provinciale di Frosinone quando il caso sulla morte di Serena - proprio a seguito delle dichiarazioni di Tuzi viene riaperto. Il generale incalzato dal pm Siravo risponde sui controlli eseguiti, sui tempi, sulle modalità. Anche sull'ordine di servizio ritenuto falso e sulla opportunità di investire Vincenzo Quatrale del compito di condurre la conversazione ambientale intercettata. «Dopo le dichiarazioni di Tuzi le indagini furono serrate. Un "no" assoluto all'ipotesi che l'ordine fosse falso: parliamo di un atto che non è Vangelo» continua Sparagna. Si scelse di affidare l'ambientale a Quatrale «innanzitutto perché era affidabile». «La questione dell'ordine di servizio per noi era marginale. Tuzi rende la dichiarazione "clamorosa", noi dovevamo corroborare la tesi. Io non ho messo in dubbio la credibilità di Tuzi ma dovevamo capire come mai avesse parlato dopo sette anni. Né avevamo dubbi su Quatrale: fare una intercettazione, se fosse stato coinvolto, sarebbe stato impensabile.

Sarebbe potuto saltare fuori qualcosa durante l'ambientale a suo carico». Poi aggiunge: «Tuzi aveva capito che era un "perno" e che la mia presenza aveva un ruolo e doveva decidere cosa fare. Ma era tranquillo ed era pure in trattazione il trasferimento definitivo: gli dissi io di scegliere la sede». «Perché Tuzi è stato lasciato libero di suicidarsi?» chiede il presidente Capurso. «Non avevamo motivo di pensare a un suo coinvolgimento nell'omicidio. Il suicidio nasce da una delusione personale. Non avevamo sensazioni che potesse suicidarsi». Ascoltati anche altri due militari: uno sulla cimice piazzata in auto. L' altro - Giovannini - sulla redazione degli atti ma anche sull'escussione di Tuzi. «Il brigadiere non era tranquillo. Dopo aver fatto una dichiarazione del genere e poi averla ritrattata si avvicinava con la mano alla fondina, si sistemava la giacca. Qualcuno gli disse che doveva stare calmo. La voce era ferma ma io vedevo che tremava».

Poi ha insistito molto sull'analisi del luogo del ritrovamento del corpo di Serena: «Dall'aspetto medico legale si evince che non c'è stato accanimento. La scena del crimine non è Fontecupa». E sottolinea come nel doppio giro del nastro, del fil di ferro, così come nel posizionamento del bidone e dei libri ci siano elementi importanti dell'aspetto relazionale dell'omicidio. Ascoltato pure il carabiniere Compagnone, che all'epoca non prese in affitto l'alloggio a trattativa privata perché non conveniente ma ricorda - già allora - della porta rotta. «Ho visto una porta rotta. Non ricordo a che altezza». Poi parla dei rapporti tra Evangelista e Tuzi e del fatto che «dell'omicidio Mollicone se ne parlava, ma non a livello investigativo».

La presunta sosia e il ragazzo
Interessante la deposizione di Donatella Spalvieri, titolare nel 2001 di una pizzeria a Isola del Liri. «Passò una ragazza e andò verso il bagno. Mio marito (nel frattempo deceduto, ndr) mi disse che aveva ringraziato e se n'era andata. Era il primo pomeriggio del 1° giugno. Allora mi ricordavo come era vestita: fuseaux nero, maglia a fiorellini. Non la riconobbi nell'immediatezza, poi appresi dalle trasmissioni tv che era Serena. Ero sicura della fascia oraria perché mio marito stava guardando la tappa del Giro d'Italia con Pantani. Andai spontaneamente dal procuratore perché avevo maturato la convinzione che quella fosse Serena». Ma il padre le riferisce che c'era una ragazza molte simile, ed era di Monte San Giovanni Campano. Così sorgono dei dubbi sull'identità della ragazza che descrive insieme a un ragazzo coi capelli ricci e neri, naso aquilino e orecchini. Entrambi - la sosia e il ragazzo in questione - sono stati citati per domani.