Serena soffocata e lasciata morire. Ne sono convinti i consulenti che ieri sono stati ascoltati fino a tardi per il processo Mollicone, davvero alle battute finali: per metà luglio, infatti, è attesa la sentenza di primo grado. I professori e gli esperti che ieri hanno utilizzato "paletti scientifici" per datare la morte della studentessa hanno usato «forchette temporali» e ricostruzioni legate al ciclo vitale delle larve, oltre a parametri ben noti a medici legali e tecnici del settore. Ma su un dato sono stati tutti concordi: Serena poteva essere salvata. Dall'aggressione all'agonia, fino all'occultamento, passando per il "confezionamento": una ricostruzione difficile da ascoltare. Tenuta insieme da un "filo d'acciaio": il convincimento che la ragazza sia morta per asfissia causata dallo scotch e dal bavaglio posti su naso e bocca.

Non solo. Serena non si sarebbe difesa. «Il colpo inferto non era mortale. E se soccorsa tempestivamente avrebbe potuto salvarsi» afferma la professoressa Cristina Cattaneo, che ha già saputo ascoltare ciò che il corpo di Serena poteva ancora dire dopo tutti questi anni. Il medico legale e responsabile del Labanof di Milano, dove Serena è stata trasferita nel 2016, aveva già parlato di «un'agonia stimata dal primo medico legale tra mezz'ora e le dieci ore». Chiamata ancora in aula dopo le parole dell'entomologa forense Paola Magni, ha fatto delle precisazioni. Complesse le considerazioni fatte sulla presunta data della morte. Che Serena sia morta soffocata ne è sembrato convinto anche il professor Saverio Potenza, medico legale anche nel caso di Willy, e accademico di "Tor Vergata", nominato dalla difesa di Quatrale.

«L'urto ha provocato un edema, Ma Serena non muore a causa del trauma cranico. Serena dopo il trauma è possibile che abbia perso conoscenza. Altrimenti dovremmo pensare che fosse inerme. E perché? Tra trauma e asfissia c'è un lasso temporale. La perdita di coscienza può essere di pochi minuti fino a 30» afferma Potenza. «Questa tipologia di impatto presume che la testa abbia assunto una posizione ferma, obbligata: il capo leggermente ruotato verso destra e inclinato verso il basso. L'ipotesi del trauma contro la porta è residuale» aggiunge, raccontando che non ci sarebbe stata alcuna colluttazione poiché non vi sono tracce sul corpo. «Serena non ha avuto la possibilità o il tempo per difendersi» conclude.

«Due le lesioni di taglio riscontrate: è stata presa alla sprovvista ed è stata colpita alla testa senza potersi difendere - afferma il medico legale Giorgio Bolino - sulla causa della morte univocamente pensiamo che si possa parlare di asfissia per occlusione, peri giri di nastro adesivo o a causa della busta». Poi aggiunge: «Non ha urtato contro la porta perché non è compatibile con la ferita. La frattura sarebbe dovuta essere scomposta. Abbiamo solo due piccole lesioni cutanee. Non so dire dove è morta, non escludo il bosco. Ma l'assenza di segni è assenza di colluttazione per l'antropologia forense». Portati in aula anche gli scarponcini indossati da Serena per la misurazione delle suole.

L'istigazione al suicidio
Indagata, poi, in aula anche l'ipotesi di istigazione al suicidio di Santino Tuzi. Accusa formulata a carico di Vincenzo Quatrale, dopo l'intercettazione ambientale - ordinata dalla magistratura - che lo stesso tenne in auto con il brigadiere. A relazionare su questo aspetto la psicologa forense Raffaella Rinaldi. «Per dire che Quatrale possa aver avuto un peso sulla scelta di Tuzi bisogna analizzare bene i 46minuti di conversazione: pochi per indurre uno a uccidersi. Poi bisogna inserire la questione nel particolare momento di vita del brigadiere». Per la dottoressa Rinaldi Tuzi sarebbe stato stressato dalla paura di un arresto e da questioni personali che nulla avrebbero avuto a che vedere con Quatrale.

«Tuzi stava vivendo uno stress molto violento per la sua personalità ma mettere in relazione Quatrale e Tuzi è assurdo. Sono due circostanze diverse con degli assetti e relazioni diverse. Non c'è alcun elemento o nesso scientifico e tecnico tra l'incontro di 46 minuti e il suicidio di Tuzi» afferma Rinaldi. La figlia Maria, però, replica: «Bisognerebbe chiedere a tutti i nonni del mondo cosa sia più forte: il sentimento per una presunta amante o quello per un nipote» non credendo alla definizione di "motivi personali" per il suicidio. «Chissà quante minacce avrà ricevuto mio padre - aggiunge - Questioni sentimentali? Lo escludo».