Sono tornati con striscioni e magliette. Ma soprattutto armati di speranza. Ieri per l'udienza di opposizione all'archiviazione del caso legato alla prematura scomparsa di Mimmo D'Innocenzo non c'era solo sua madre, pronta a chiedere ancora che venga fatta giustizia. Accanto a lei una piccola delegazione del gruppo nato per sostenere quell'idea di giustizia che deve essere propria di tutta la società civile. «Da quel momento, quando con una telefonata mi hanno detto che mio figlio era morto, la mia vita è finita. Ma non mi arrendo. Voglio che sia fatta chiarezza su quanto accaduto quella notte. Non mi fermo» ha dichiarato Alessandra, mamma di Mimmo, fuori dal tribunale di Cassino. Mimmo D'Innocenzo, giovane romano di 32 anni, muore il 27 aprile del 2017 per un malore nel carcere di via Sferracavalli.

Sul braccio un foro di siringa. I familiari non hanno mai creduto all'ipotesi di una overdose: impossibile per un giovane che non faceva uso di eroina. E, cosa non secondaria, vietata in carcere. A 29 anni Mimmo decide di smettere con la cocaina ma non ce la fa; una mattina raggiunge un supermercato sotto casa e a volto scoperto tenta una rapina, poi viene arrestato. Inizia a scontare la pena ad Assisi, in comunità. Quando diventa definitiva viene trasferito a Cassino dove, dopo due giorni, muore. La difesa della famiglia, rappresentata dall'avvocato Vitelli, riesce a scoprire attraverso indagini difensive l'esistenza di un testimone che avrebbe riferito di un'iniezione la sera precedente al malore. Forse calmanti.

Esisterebbe la testimonianza di un agente di polizia penitenziaria che riferisce di aver accompagnato il ragazzo in infermeria per un malore la sera prima. Ma né medico né infermiera ricordano nulla. E il registro degli ingressi non esiste più. Come pure la gola profonda che raccontò come era andata. «Come si fa, a non ricordare un ragazzone come mio figlio, alto due metri?» aveva detto mamma Alessandra, che non si è mai arresa. Tanti i sit-in: a Cassino e a Roma. Pure l'incontro con il ministro Cartabia. Ieri ancora a Cassino, dove si è celebrata l'udienza di opposizione all'archiviazione per un medico, un'infermiera e un altro detenuto. Il giudice ha ascoltato le discussioni delle difese e si è riservato. «Lo so che non ci sarà nulla che mi riporterà mio figlio. Ma almeno un po' di giustizia. Per lui e per qualunque essere umano».