Niente ergastolo, ma trent'anni di reclusione. E per un solo dei due omicidi contestati. Sono le 15 quando la Corte d'assise di Frosinone, composta dai giudici togati Francesco Mancini (presidente) e Chiara Doglietto più i giudici popolari, pronuncia la sentenza a carico di Daniele Cestra, il quarantacinquenne di Sabaudia, accusato di un duplice omicidio nel carcere di Frosinone. Le vittime sono Pietro Paolo Bassi, trovato impiccato in cella il 24 marzo 2015, deceduto il 15 giugno successivo dopo quasi tre mesi in ospedale, e Peppino Mari di Sgurgola, morto impiccato il 17 agosto 2016.

Entrambe le morti, secondo la procura di Frosinone che ha iniziato a indagare da quella più recente, salvo procedere alla riesumazione del corpo di Bassi, sarebbero riconducibili ad un'azione violenta commessa dall'imputato che poi avrebbe inscenato due suicidi. Cestra era il "piantone" delle vittime, ossia badava a loro avendo entrambi problemi fisici. Tuttavia, per la Corte d'assise Cestra è responsabile unicamente dell'omicidio di Mari ed è così condannato a trent'anni, con esclusione delle contestate aggravanti (della crudeltà e del mezzo insidioso) ma con la recidiva (Cestra sconta un'altra condanna, a 18 anni, per l'omicidio di Anna Vastola, 81 anni, uccisa nel 2013 durante una rapina nell'abitazione dell'anziana a Borgo Montenero). La difesa di Cestra, composta dagli avvocati Angelo Palmieri e Sinuhe Luccone, in attesa di leggere le motivazioni, ha accolto il verdetto con moderata soddisfazione, avendo scampato la condanna all'ergastolo, chiesta dal pm con isolamento diurno di due anni, e avendo ottenuto almeno un'asso - luzione. Scontato il ricorso in appello. Parte civile per la famiglia Bassi, l'avvocato Rolando Iorio con l'avvocato Giuseppe Spaziani.

L'udienza
L'ultima udienza, dedicata alla discussione della difesa, si apre con le spontanee dichiarazioni dell'imputato. Presente anche il procuratore Antonio Guerriero, Cestra pronuncia poche parole: «Volevo dire solo questo. Dei due omicidi di cui sono accusato sono innocente». Quindi l'intervento dell'avvocato Luccone che tenta di demolire la consulenza del medico legale e le testimonianze prodotte dal pubblico ministero Vittorio Misiti. Il legale attacca: «Questo processo è pieno di dubbi, non abbiamo alcuna certezza. Purtroppo l'impiccamento è la prima causa di morte in carcere. L'anno scorso abbiamo avuto 60 morti, purtroppo è un fenomeno frequente. In tutta Italia abbiamo 4.000 suicidi all'anno non è un caso anomalo fuori, figuriamoci in carcere. Frosinone ha un triste primato, è il carcere con più alto numero di suicidi. La sfortuna di Cestra è che si trovava in cella con Mari».

L'avvocato sottolinea che «Cestra era meritevole di fare il piantone», quindi sulle motivazioni attacca: «La causale sarebbe "odio i vecchi e ammazzo i vecchi". Ma Mari non era vecchio figuriamoci Bassi. Potevano avere problemi fisici ma non erano vecchi. È una causale che non regge». Per il caso Mari, illegale ricorda che «Cestra dà l'allarme. Cestra, che era il compagno di cella, viene subito sentito». E qui la difesa sostiene l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in quanto «le garanzie difensive non sono state concesse». Per la difesa la procura avrebbe dovuto interrompere l'esame e indagare Cestra. E invece il giorno dopo - ribadisce Luccone - viene incaricato il medico legale per la consulenza, ma il procedimento resta contro ignoti. «Era diritto di Cestra nominare un medico legale», chiosa il legale. «Dopo il deposito della relazione preliminare il pm iscrive Cestra», da qui la richiesta della difesa di una perizia medica.

A quel punto il difensore illustra i motivi per i quali i suicidi sarebbero perfettamente compatibili con le lesioni riscontrate sulle vittime. Ma non solo, la difesa si gioca un'altra carta: «Il caso Bassi era stato archiviato». Salvo poi aggiungere che, pur essendo stato intercettato in cella, «l'esito dell'indagine è negativo». Nonostante ciò, l'avvocato contesta una frase riferita da un altro detenuto che attribuisce a Cestra l'espressione "basta con questi vecchi, ne ho uccisi tre, ora ammazzo il quarto". «E da qui si costruisce un castello di sabbia - aggiunge Luccone - Ma una cosa del genere non è stata registrata né dalle microspie né dalla videoripresa». Sul caso Bassi, inoltre, la difesa contesta che «le risultanze dell'ospedale contrastano con la consulenza».

E chiarisce che se con Mari Cestra era in cella, quando Bassi viene ritrovato, la cella era aperta. Da qui la richiesta di assoluzione. Sulla stessa lunghezza d'onda l'avvocato Angelo Palmieri che chiede alla Corte di «usare il bisturi per arrivare alla verità». Poi respinge le aggravanti ritenendole «inesistenti». Dice che «questo processo che può sembrare facile, facile non è. Si possono credere a queste fantasie? Le prove devono essere certe». L'avvocato si interroga su quali siano gli elementi nuovi che abbiano portato alla riapertura del caso Bassi dopo l'archiviazione. Per poi ragionare sulla «causale inesistente. Datemi un solo teste presente all'evento! Nessuno si è reso conto di nulla, nessuno ha visto, solo "dicitur".

Quando Cestra ha chiamato i soccorsi, Bassi era vivo ed è morto dopo tre mesi. Lopoteva accusare. Ci vuole una prova granitica per l'ergastolo. In questo processo abbiamo delle fantasticherie. La dignità del dubbio è da preferire al tormento giudiziario». Il difensore scansa l'idea del capro espiatorio ed evidenzia che Cestra a Terni è in compagnia di altri tre detenuti. Infine, un tecnicismo giuridico: «L'articolo 530 2° comma è fatto apposta per Cestra: le prove sono insufficienti e contraddittorie. Quali gli elementi di riscontro? Non c'è un ramoscello di prova».