Delitto Mollicone, si torna in caserma. Per i giudici è stata la prima volta, per gli inquirenti ovviamente no. L'ultimo accesso risale al 2017, insieme al Ris e al Nucleo operativo. La volontà di varcare l'ingresso della caserma di Arce per poter guardare la composizione degli interni, gli spazi, le distanze con i propri occhi; per poter collocare tutti gli elementi emersi durante il processo Mollicone - ormai alle battute finali - senza far ricorso alle sole immagini proiettate in aula era stata già espressa dalla Corte d'assise nelle scorse udienze. Ma ieri, senza ulteriori richieste, il presidente Massimo Capurso ha deciso: al termine delle escussioni testimoniali avrebbero raggiunto la caserma.
Avrebbero così messo piede in quel luogo in cui, secondo l'accusa, Serena è stata uccisa. E così è stato. Trentacinque minuti o poco più per fissare con gli occhi alcuni elementi importanti quando si parla del delitto Mollicone. Dalle dichiarazioni rese dal brigadiere Santino Tuzi in poi,infatti, la morte di Serena viene blindata all'in - terno della caserma. La magistratura, seguendo un percorso affatto semplice, grazie all'impegno di uomini dell'Arma determinati, comincia a seguire una pista ben precisa. E superato il rischio dell'archiviazione individua nella struttura militare di Arce il teatro del delitto e nella porta la probabile arma: secondo gli inquirenti, infatti, Serena sarebbe stata sbattuta con violenza contro la porta dell'alloggio a trattativa privata a seguito di un'accesa lite.
Ecco, dunque, l'importanza per la Corte d'assise di Cassino di "toccare con mano": i giudici togati e quelli popolari hanno così potuto ispezionare - alla presenza vigile dei carabinieri della locale stazione, con il comandante Visca; del capitano della Compagnia Tagliettie del tenente Fava, insieme al colonnello del Comando provinciale, Pannone - sia i locali aperti al pubblico, sia gli alloggi. Hanno potuto verificare il percorso che avrebbe fatto la studentessa negli ultimi istanti di vita, ma anche elementi fondamentali per cementificare o ribaltare il personale convincimento definito udienza dopo udienza. Hanno ripercorso con lo sguardo, ad esempio, la prospettiva della visuale che aveva Tuzi quando Serena sarebbe entrata in caserma. Con loro anche la figlia del brigadiere, Maria Tuzi. Allo stesso tempo i presenti hanno potuto ispezionare i locali privati guardando in modo analitico le disposizioni, l'altezza delle porte e la struttura degli ambienti.
La porta
Era lì, insieme a quella usata al Labanof per eseguire tutti gli esperimenti, avvolte dal cellophan. Poggiata a un muro ecco la porta "originale", con la cavità che per l'accusa sarebbe stata provocata dal cranio di Serena.E quella gemella, riportate "a casa" dal Labanof di Milano, in attesa del sopralluogo. Così il presidente Capurso e i giudici hanno potuto fissare nella mente altri dettagli: il materiale, la profondità della cavità, l'altezza. Elementi certamente raccontati in aula. Ma un conto è riuscire quasi a toccare con mano quello su cui difese ed esperti hanno relazionato a lungo, un altro è disegnare una costruzione solo mentale.
La scelta del presidente è servita proprio a questo: a offrire a tutti i giudici gli strumenti necessari a mettere insieme i tasselli di un processo difficile da affrontare, aperto a distanza di troppi anni su uno dei cold case più duro da raccontare, dove la vittima è una ragazza di diciotto anni, piena di sogni e ideali. E il luogo indicato come teatro del delitto una caserma dei carabinieri. A varcare l'ingresso della caserma c'erano anche tre dei cinque imputati, con le loro difese. Assenti Marco e la mamma Anna Maria, in prima fila come sempre l'ex maresciallo Franco Mottola e i due ufficiali: Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. Chissà cosa avranno pensato nel percorrere quel breve tratto di strada che ogni mattina li separava dalle loro famiglie, un pezzo d'asfalto che conoscono a memoria.
E che per molto tempo è stato parte di una consuetudine a cui forse erano semplicemente abituati. Ora, però, è tutto diverso. Il loro ingresso ieri ha avuto tutt'altro sapore. O forse no. «Che effetto le ha fatto rientrare in caserma?» chiedono i giornalisti all'ex maresciallo. «Normale, è una caserma» risponde Franco Mottola, ribadendo di essere sereno. «Mottola e la sua famiglia stanno subendo un processo da innocenti. Vivere un processo così difficile e tanto mediatico ha un peso morale importante» ha dichiarato uno dei legali della famiglia Mottola, Mauro Marsella.
Che aggiunge: «Abbiamo verificato tutti gli ambienti, sia quelli della caserma sia quelli privati. Quello che interessava a noi come difesa e credo anche alla Corte era verificare la compatibilità tra le porte del primo piano, dove viveva la famiglia Mottola, e quella nell'appartamento sfitto dove - secondo la procura - sarebbe avvenuto l'omicidio: una compatibilità che è emersa. Le porte dei bagni sono tutte della stessa altezza e si aprono tutte allo stesso modo, da sinistra verso destra». «Avrebbe desiderato tanto questo momento papà, sempre in nome della giustizia per mia sorella. Ho provato una sensazione di attesa - ha affermato la sorella di Serena, Consuelo - Aspetto da tanti anni, mio padre non c'è più. Ma dall'alto "grida": è ora di conoscere la verità».
L'ingresso nella caserma di Arce dopo cinque anni dall'ultimo accesso è avvenuto poco fa. La prima volta, per i giudici della Corte d'assise di Cassino, che vuole vedere i luoghi descritti nel processo aperto sulla morte di Serena Mollicone.
di:Si torna nella caserma di Arce. Oggi. A distanza di tanti anni si varcherà ancora una volta il cancello dell'ingresso della caserma dove secondo l'accusa del processo Mollicone Serena è stata uccisa oltre vent'anni fa. Ad annunciarlo poco fa il presidente della Corte d'assise di Cassino, Massimo Capurso, al termine di una valutazione sui testimoni da ascoltare. E anche su questo ci sono novità: saranno ascoltati due militari - uno dei quali il colonnello Sparagna - che raccolsero le parole di Santino Tuzi. Tutte le attenzioni però ora sono per il nuovo sopralluogo che avrà vita solo alla fine dell'escussione dei testimoni citati oggi.
di: Carmela Di Domenico