Scrittrice frusinate, ma anche immunologa e infettivologa all'ospedale "Spallanzani" di Roma, Laura Vincenzi racconta a Ciociaria Oggi il suo romanzo d'esordio. E non solo…
Ci parla della sua formazione umanistica e medica? «Ho frequentato il liceo classico "Norberto Turriziani" di Frosinone, dove ho avuto la fortuna di conoscere insegnanti appassionati e appassionanti di materie che hanno aggiunto una formazione diversa alla mia vocazione scientifica. Con riguardo alla mia professione, dopo la laurea in medicina e chirurgia all'Università di Roma "La Sapienza", mi sono specializzata, sempre alla Sapienza, presso la cattedra di immunologia clinica e allergologia diretta dal prof. Fernando Aiuti».
Come mai a un certo punto della sua vita decide di scrivere un racconto?
«"A giugno fioriscono le ortensie" (L'Erudita, 2021) nasce per il mio desiderio di dare voce a una donna che, pur non compiendo gesta mirabili, lascia un'impronta importante della sua vita su chi ha avuto la fortuna di conoscerla».
Ci racconta la trama del suo romanzo d'esordio?
«La donna in questione, Elena, mia prozia e madrina di battesimo, è un'umile sarta di Frosinone che in punto di morte si rivolge all'amato nipote Giulio per raccontargli cose che non ha mai confessato a nessuno. Giulio, figlio della sorella (e padre della scrittrice stessa, ndr), è il figlio che non ha mai avuto ma che ha tirato su come se fosse veramente suo. Elena non è mai stata sposata e tutto ciò che ottiene nella vita è grazie al suo duro lavoro. Il successo più grande lo raggiunge aiutando il nipote a studiare fino al conseguimento della laurea in medicina».
Quali sono le confessioni di Elena a Giulio, se ci può anticipare qualcosa?
«In fondo la vita di Elena ripercorre la storia di una donna che ha vissuto buona parte del Novecento italiano. Nata nel 1922 e deceduta nel 1992, ha conosciuto la guerra, la dittatura, la fame, la morte, la mancanza di certezze, ma anche una condizione di genere che l'ha fatta crescere più velocemente. Ecco, quest'ultimo aspetto è, forse, il fil rouge del romanzo».
In che senso?
«Elena è una femminista ante litteram ma arriva a questa condizione grazie alle esperienze, spesso dolorose, che ne contrassegnano la vita. C'è un episodio che descrivo proprio all'inizio del libro e che perpetuerà il disagio della donna anche nelle rimanenti pagine. Elena, il 31 gennaio del 1938, a sedici anni, vuole assistere al parto del nipote. In quel tempo si partoriva a casa, con l'aiuto della levatrice e, nei casi più fortunati, di un medico. Al momento dell'uscita della "testolina" di Giulio, Elena non trattiene il suo coinvolgimento emotivo e ha un conato di vomito, lì, nell'improvvisata sala parto, creando scompiglio tra i presenti.
Dopo un sonoro ceffone, viene immediatamente cacciata dalla stanza e deve accomodarsi insieme agli "uomini" che fumano nervosamente in un altro ambiente di casa, subendo una pesante umiliazione. Questo evento segnerà in qualche modo la donna anche per i successivi parti, fino al mio che, fortunatamente, avverrà in ospedale. Allo stesso tempo, però, Elena diventa diversamente madre, occupandosi del nipote e aiutandolo nell'educazione e nell'istruzione fino a permettergli di conseguire la laurea in medicina.
Elena non condividerà la sua vita con un uomo, però, pur essendo una bella donna. Esperienze dolorose e traumatiche, unitamente a un carattere fiero e orgoglioso, la renderanno autosufficiente e indipendente. Questa condizione la porterà, anche, all'assenza di una famiglia tradizionale, alla mancanza di un affetto di coppia, a una tristezza di fondo mascherata dalla determinata forza di volontà. In una parola, alla solitudine».
Volando pindaricamente, ma non troppo, ci regala un ricordo del prof. Aiuti?
«Il prof. Aiuti è stato un personaggio unico. Era sempre il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare via, in clinica. Ci conosceva uno per uno, dallo studente allo specializzando, e faceva spesso telefonate nei vari reparti e in laboratorio per vedere chi ci fosse e che cosa stesse facendo».
Approfittando del suo prestigioso osservatorio… che ne sarà del Covid?
«Il Covid ha segnato un'epoca, si parlerà sempre di "un prima e un dopo". I vaccini sono stati fondamentali per il salvataggio di tante vite, avendo ridotto le probabilità di un aggravamento della patologia. Per il futuro, mi auguro che il virus diventi sempre meno patogeno per l'essere umano, come sembra dimostrare l'avvento delle ultime varianti. Inoltre da circa due mesi abbiamo ripreso a occuparci anche delle altre malattie infettive, che seguivamo nel pre-Covid: HIV, tubercolosi, epatiti, meningiti, encefaliti, malattie tropicali, infezioni nei pazienti trapiantati».
Ha un sogno nel cassetto?
«Ce l'ho ma non lo dico, altrimenti non si avvera…». A fine intervista confessa che sta scrivendo un nuovo libro, totalmente diverso da "A giugno fioriscono le ortensie".
A proposito, perché questo titolo?
«Le ortensie erano i suoi fiori. Quelli che fioriscono sempre, senza bisogno di tante cure».