«Serena non è mai entrata in caserma, in quella nuova. Né io né la mia famiglia l'abbiamo uccisa». Poi aggiunge: «Non ho mai usato violenza contro Serena». Marco Mottola, 39 anni, pullover azzurro acceso e occhiali da sole sulla testa, appare tranquillo. Si siede in aula e risponde alle 150 domande della difesa, poi a quelle ben più taglienti della pubblica accusa. Non perde l'aplomb, nessuna alterazione né nei gesti né nella voce. Neppure quando si cerca di trovare nelle sue parole una qualche contraddizione. Neanche quando i pm sferrano un duro attacco. Marco non si scompone: è coerente nella sua deposizione, tra quanto riferito durante l'esame e quanto poi ribadito nel controesame. Quasi monocorde. Ma prima che il pm Fusco potesse arrivare verso la parte finale, proprio sul "nodo" della porta, le difese irrompono: consenso ritirato. Escussione interrotta.
«Contestazioni secondo Codice non utilizzabili» s'infiammano gli avvocati, impedendo a Marco di proseguire. Il punto cruciale, il cortocircuito, è proprio sulle contestazioni relative alla porta dell'alloggio militare: quella che per la procura sarebbe l'arma del delitto Mollicone, contro la quale Serena viene sbattuta.
«Dal 28 marzo del 2008 in poi le contestazioni non possono essere utilizzate» tuona Mauro Marsella uscendo dall'aula.
Tutti fuori.
Riavvolgiamo il nastro
La Corte d'assise poco dopo l'apertura dell'udienza ha sciolto la riserva sull'utilizzabilità o meno delle sommarie informazioni: aspetto cruciale perciò che sarebbe accaduto qualche ora più tardi. Il racconto di Marco, imputato insieme alla madre e al padre e ai due ufficiali Quatrale e Suprano per la morte di Serena, occupa con linearità l'intera giornata. Il trentanovenne inizia a raccontare ricordando l'arrivo ad Arce, gli anni da "scavezzacollo", i rimproveri del padre. E si smarca quando gli vengono poste domande su una possibile aggressività: «Non ho mai avuto scatti d'ira...Penso di essermi arrabbiato ma mai scatti d'ira "da pazzo"». «Ho avuto una cotta adolescenziale per alcune amiche di Serena. A casa sua? Solo per ripetizioni di francese con Guglielmo» risponde alle domande dell'avvocato Piergiorgio Di Giuseppe sui rapporti con Serena.
«Arrivai ad Arce che dovevo iniziare la terza media, prima vivevamo in un paesino in provincia di Rieti.
Andammo via nell'estate del 2002. Sì, conoscevo Serena. Siamo stati nella stessa comitiva fino ai 16anni (tra il '98 e il '99). Lei poi iniziò a frequentare un ragazzo fuori paese e la vedevamo di meno.
Ci si vedeva, ci si salutava. Crescendo il rapporto è diventato più saltuario».
E quando le domande diventano circostanziate, non appare in difficoltà. «No. Nessun rapporto sentimentale con Serena né sessuale. Eravamo solo nella stessa comitiva. Noi ragazzi eravamo un po' spavaldi, si fumava ai giardinetti, alla luce del sole...Quando abitavo nella vecchia caserma e i miei andavano via, dai parenti, venivano alcuni amici. Bevevamo una birra o un po' di vino, eravamo una decina di ragazzi, ma mai feste concordate. Nella nuova caserma il gruppo era più stretto. In quella vecchia, in occasione di un compleanno, è plausibile che ci fosse anche Serena.
Nella nuova no». Un punto su cui Marco sia in sede di esame che in quello di controesame non si è mai contraddetto né ha avuto tentennamenti. «Visto dove siamo oggi, ci ho ragionato molto: no. Serena non salì mai in caserma». E rispondendo poi al pm aggiunge: «Nella mia abitazione no. Da me, nell'alloggio di servizio mai venuta. E nell'alloggio a trattativa privata? No, con me no. Con me non è andata da nessuna parte».
Neppure, afferma, sarebbe salita sulla sua auto.
«Mai usata violenza su Serena, non l'ho uccisa.
Nessuna responsabilità». «Ho saputo che Guglielmo mi riteneva responsabile e lo diceva tramite tv e giornali: all'inizio ero sorpreso ed esterrefatto di come avesse potuto pensare una cosa del genere. Ma con le difese abbiamo pensato di non infierire: aveva perso la figlia e aveva accusato anche altre persone. Abbiamo tenuto sempre un profilo basso». «Come ha vissuto il sospetto, come lo vive tutt'ora?» incalza Di Giuseppe.
«Purtroppo l'ho vissuto e lo vivo male: c'è sempre il sospetto. Cerchi di rifarti una vita, non ti vogliono gli amici, non ti vogliono al lavoro… Mi hanno visto in tv: pensi chissà cosa hanno visto che possa influenzare il loro giudizio, che sia vero o no sottolinea Sono totalmente estraneo alla vicenda Mollicone».
Dettagli e contestazioni
«Non ricordo quando ho visto Serena l'ultima volta, non posso ricordarlo». Stessa risposta alle contestazioni successive del pm Maria Carmen Fusco che ha ripercorso i giorni precedenti alla scomparsa di Serena, la festa di Sant'Eleuterio, le dichiarazioni sulle auto.
E che ha passato al setaccio dettagli affatto secondari: chiamate, droga, frequentazioni. Marco racconta pure dell'uso in comitiva di hashish mai spaccio e del fatto che una volta vennero fermati dai carabinieri: uno del gruppo riuscì a buttare la sostanza. Ma l'operazione non passò inosservata. «Mio padre disse ai suoi: fate quello che dovete fare». In un'altra occasione Santino Tuzi e un altro militare «mi sequestrano il motorino: ero senza casco. Mio padre diceva: se lo vedete senza casco, sequestrate il motorino. Non avevamo un soldo in tasca, mettevamo 1.000 lire di benzina, restavo a piedi tre giorni a settimana, nessuno stile di vita superiore...A volte ho pure venduto l'oro che mi avevano regalato per qualche occasione».
Una adolescenza con l'acceleratore pigiato: scherzi telefonici, piccole bravate, poi l'abbandono della scuola.
«Nel 2001 mi ritirai da scuola. Dormivo fino a tardi e poi si usciva. Facevamo scherzi telefonici, soprattutto a una prof delle medie. Lo vennero a sapere i carabinieri e ci convocarono in caserma. Mio padre ci disse che dovevamo andare da lei a chiedere scusa. Così abbiamo fatto». «Non ho mai rotto una porta in caserma né mi ricordo della presenza della stessa. Né ne abbiamo parlato in casa. Mio padre disse a mia madre che l'aveva rotta lui con un pugno, dopo che lo avevo fatto arrabbiare. Non so per cosa. Si arrabbiava spesso con me: aveva abbandonato la scuola, andavamo in giro a fare lo spavaldo e un po' di danni. Ma non ricordo l'episodio» continua.
Proprio sulle domande relative alla porta sul dettaglio di non poco conto su chi avrebbe rotto con un pugno la stessa, in riferimento ad alcune sit rese dal maresciallo si interrompe la testimonianza di Marco. Le difese non concordano sull'utilizzabilità e ritirano il consenso.
Marco esce. Le difese delle parti civili sottolineano di non essere riuscite neppure a porre una domanda, tra una interruzione e l'altra al pubblico ministero: tensione alle stesse. Domani tutti nuovamente in aula.