Corruzione elettorale a Piedimonte, eliminata l'ipotesi associativa. Si è discusso ieri l'appello relativo proprio alla riqualificazione del reato di associazione a delinquere finalizzata al voto di scambio. Dopo il proscioglimento del gup Di Croce a dicembre del 2020 la procura aveva proposto appello. L'udienza ha avuto luogo ieri a Roma, dove i giudici capitolini hanno accolto le tesi delle difese, pronunciandosi per un "non luogo a procedere". Le difese degli imputati (Di Sotto e Sgambato per Ferdinandi; Corsetti e Avella per Capuano; De Rubeis e Mattia per Varlese e Gargano per Nocella) che si erano già opposte alle questioni delle parti civili (rappresentate da D'Alessandro e Di Bona) hanno ricordato ieri le precedenti pronunce favorevoli. Pronunce che nelle sintetiche discussioni hanno definito «univoche sulla questione legata all'assenza di gravità indiziaria rispetto all'accusa» hanno spiegato a margine dell'udienza.

Poi hanno aggiunto: «Era impensabile per noi, linea che abbiamo sostenuto in appello, che il dibattimento potesse spostare i termini della questione». Ora si torna in aula il prossimo 26 maggio per il proseguimento del processo nel tribunale di Cassino, per discutere dei reati elettorali a carico degli imputati.

La vicenda
Era il 2 dicembre del 2020, tutti i coinvolti nell'inchiesta "Cinque cento" vennero prosciolti perché il fatto non sussiste in merito all'ipotesi di associazione a delinquere e rinviati invece a giudizio per i contestati episodi quattro o cinque quelli finiti sotto la lente della procura per corruzione elettorale. Nell'inchiesta, lo ricordiamo, furono coinvolti il sindaco di Piedimonte San Germano, Ferdinandi, il suo vice Capuano, l'ex sindaco Nocella e l'imprenditore Varlese, chiamati a rispondere del voto di scambio. Ma anche alcuni elettori, poi finiti a processo insieme ai politici. Sotto la lente infatti promesse di posti di lavoro in cambio di voti ipotizzate dagli inquirenti: su questo binario si innestava appunto il secondo filone, aperto a carico di tre elettori che avrebbero (sempre in base al castello accusatorio) accettato la presunta promessa. La richiesta di riunire i due filoni è finita nelle mani del presidente Capurso: così politici ed elettori coinvolti nell'indagine dell'Arma per l'ipotesi di corruzione elettorale sono stati chiamati ad affrontare unitaria mente il processo in base al principio per cui anche solo «l'accettazione della promessa di un vantaggio in cambio dell'appoggio elettorale, pure in mancanza della concreta esecuzione dell'accordo, integra il reato». Si tratta di Cosmo Stefanelli, Fernando Alessandro Serluca e Marco D'Aguanno, questi ultimi due difesi dall'avvocato Antonio Ceccani. Il primo, invece, assistito dall'avvocato Antonella Ricci, ha chiesto una messa alla prova e la sua posizione è stata stralciata. Per lui nel prossimo mese di ottobre si procederà con il deposito del programma della messa alla prova.