Cento milioni d'investimento in fumo. E altrettanti posti di lavoro che svaniscono. Un prezzo altissimo che Anagni e il suo distretto industriale pagano al "mostro" che tiene sotto scacco l'economia e lo sviluppo del territorio: quello di una burocrazia farraginosa e tremendamente lenta che fa fuggire progetti industriali e capitali. La clamorosa rinuncia della Catalent a realizzare in terra ciociara un piano d'investimento da cento milioni di dollari ha l'effetto di un ko. Solo un anno fa la multinazionale farmaceutica americana aveva annunciato il suo piano per potenziare la produzione di farmaci biologici e di vaccini nello stabilimento anagnino.
Poi, però, ha dovuto fare i conti con le complicate autorizzazioni previste per la aree del Sin. E ha rinunciato. Investirà quei soldi in Gran Bretagna. Niente rinnovo di contratto, quindi, per cento giovani ricercatori impiegati finora nel sito di Anagni. Un dramma per loro, una sconfitta per tutto il territorio. E per la politica che lo governa. Il caso Catalent ha subito avuto un'eco nazionale. Sull'edizione di ieri, il quotidiano economico "Il Sole24Ore" ha pubblicato una lettera aperta del presidente di Unindustria Lazio, Angelo Camilli, che esterna la sua «grande amarezza» parlando di un «epilogo imbarazzante per l'intero sistema Paese». Camilli aggiunge: «La vicenda di Catalent è sicuramente la più eclatante, ma non è e non sarà l'ultima finché non si interverrà sulle tempistiche eccessivamente lunghe di rilascio delle autorizzazioni, in particolar modo quelle ambientali.
A pagarne le conseguenze, infatti, è l'intero tessuto produttivo italiano che si trova a combattere contro una pubblica amministrazione anti impresa e a rinunciare, spesso, a nuovi investimenti che significano innovazione, lavoro di qualità e crescita economica».
La presa di posizione di Unindustria è netta: «Come sistema delle imprese non possiamo più tollerare una situazione di questo genere scrive Camilli Chiediamo con forza tempi degni di uno Stato che vanta ancora la seconda manifattura d'Europa e non può ritenere accettabile che una richiesta di autorizzazione rimanga ferma su una scrivania senza risposta per due anni.
Queste attese non sono compatibili con la vita e lo sviluppo di un'impresa, ma più in generale di un paese civile e industrializzato».
Che fare allora? Camilli indica l'unica strada percorribile: «Bisogna prevedere una radicale semplificazione delle autorizzazioni, ma soprattutto termini certi per le pratiche, superati i quali deve scattare una sanzione economica severa in caso di inadempimento». E chiede al premier Mario Draghi e al ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani «di intervenire immediatamente per evitare altre Catalent sul nostro territorio nazionale». Da qui la proposta di Unindustria al governo: «In un momento così difficile come quello attuale un intervento sullo sblocco delle autorizzazioni ambientali sarebbe certamente un messaggio positivo per l'Italia».