«Confido nella giustizia». Finisce così la lunga lettera, scritta di pungo da Gabriele Bianchi all'Adnkronos. Uno dei quattro imputati per l'omicidio del cuoco di Paliano Willy Monteiro Duarte giovedì c'è stata la nuova udienza nella Corte d'assise di Frosinone ha scelto di raccontare la sua verità su quanto è successo la notte tra il 5 e il 6 settembre 2020 a Colleferro. Gabriele, il fratello Marco, e Mario Pincarelli (tutti e tre sono ancora in carcere) e Francesco Belleggia (ai domiciliari) sono accusati dell'omicidio del ventunenne di origini capoverdiane.

Gabriele, il 18 novembre 2021, unica volta in cui a causa delle norme Covid è stato presente fisicamente in aula, mentre di solito è collegato dal carcere, aveva già parlato. Ora l'ha rifatto in modo meno formale e come allora punta l'indice su un altro degli imputati.
«Sono stato dipinto come un mostro assassino - scrive Gabriele all'Adnkronos -. È orribile vedere le proprie foto in televisione, essere accusato di un crimine che noi non abbiamo mai commesso». E più avanti: «Sono state prese di mira anche le persone a noi vicine, distrutte le nostre vite. Senza sapere che il vero colpevole della morte del povero Willy è Francesco Belleggia (che però ha sempre negato l'accusa, ndr).

Quella maledetta notte è morto un ragazzo pieno di vita per colpa di una stupida lite che Francesco ha scatenato e che lui stesso ha terminato con un calcio al collo di Willy mentre era in ginocchio, in procinto di rialzarsi...La mia unica colpa quella notte, e l'ho anche detto al magistrato, è stata colpire l'amico di Willy, Samuele Cenciarelli. Sto male per la morte di Willy per le falsità che girano».

Quindi dedica un passaggio alla madre di Willy, presente in aula anche giovedì, come sempre: «Io vorrei gridare al mondo la mia innocenza, avrei voluto farlo in primo luogo scrivendo una lettera alla famiglia di Willy, alla mamma soprattutto, che ho visto in aula insieme alla sorella, ma ho temuto che le mie intenzioni potessero essere fraintese. Pagherei oro per poter guardare negli occhi quella donna, dirle che mi dispiace immensamente per Willy, che capisco il suo dolore, essendo padre. Ma non ho toccato suo figlio nemmeno con un dito».

Poi aggiunge: «Quella notte non avrei mai dovuto allontanarmi per accompagnare mio fratello e le sue amiche». Racconta della sua vita in carcere, dice che studia da perito informatico e va alla messa il sabato: «Prego tutte le notti che la giustizia trovi il vero responsabile della morte di Willy, per la mamma in primis e per tutti i suoi familiari poi. Confido nella giustizia».