Sul perché un detenuto abbia fatta fuoco contro altri detenuti nel carcere di Frosinone la procura ha pochi dubbi. E così dopo la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Adolfo Coletta, il giudice Antonello Bracaglia Morante ha fissato al 1° di aprile l'udienza preliminare. Sotto accusa ci sono cinque persone, all'epoca dei fatti detenute all'interno della casa circondariale di via Cerreto (nella sesta sezione del III reparto) e poi subito trasferite altrove come pure la vittima, Alessio Peluso, ora a Rebibbia, ritenuto un esponente di punta della criminalità organizzata campana. Sono tutti accusati di concorso in sequestro di persona pluriaggravato e concorso in lesioni personali pluriaggravate ai danni di Peluso che, poi, per vendetta, facendosi recapitare una pistola con un drone, aveva fatto fuoco contro di loro qualche giorno dopo, senza colpirli.

Si tratta di Genny Esposito, 32 anni, di Napoli, figlio di Luigi, boss del clan Licciardi, dell'albanese Andrea Kercanaj, 44, di Frosinone, più volte coinvolto nelle operazioni contro lo spaccio di droga in via Bellini, allo Scalo, nonché di Marco Corona, 35, di Napoli, Mario Avolio, 55, di Napoli e dell'altro albanese Blerim Sulejmani, 37. I cinque (difesi dagli avvocati Riccardo Masecchia, Alessandro De Federicis, Christian Alviani, Fabrizio Merluzzi, Gianfranco Capua e Domenico Dello Iacono) sono chiamati a difendersi per quanto avvenuto nel mattino del 16 settembre 2021. «Profittando della permanente assenza di controllo e vigilanza nella sezione da parte di personale della polizia penitenziaria», sostiene l'accusa, una volta che Peluso era entrato nella cella numero 14 veniva privato della libertà personale per un paio di minuti.

Stando alle accuse, Corona, Esposito e Kerkanaj lo seguivano nella cella con Kerkanaj che chiudeva il cancello, Avolio e Sulejmani, a loro volta, chiudevano il portone blindato e la finestrella di controllo, restando a presidiare la cella, allontanando e impedendo agli altri detenuti di avvicinarsi. Secondo l'accusa, inoltre, «dopo il tardivo arrivo in sezione di personale della polizia penitenziaria, impedivano e comunque ritardavano l'intervento degli agenti per ristabilire l'ordine e assicurare la libertà di movimento del Peluso». A tutti sono contestate pure le lesioni personale pluriaggravate, che hanno determinato una prognosi di 15 giorni. Nello specifico Corona, Espositoe Kerkanaj sulla base delle risultanze dell'attività investigativa condotta dalla squadra mobile di Frosinone «lo picchiavano con violenza attingendolo con pugni e calci», mentre «Avolio e Sulejmani assicuravano la continuità dell'azione», presidiando la cella e impedendo che altri reclusi potessero giungere in soccorso di Peluso.

Quest'ultimo subiva la frattura scomposta di orbita e zigomo nonché contusioni e ferite varie al capo e al labbro, giudicabili guaribili in 15 giorni. Peluso che in questa vicenda è parte offesa avrà la possibilità di costituirsi parte civile. Ma chi lo conosce bene sa che questa è un'eventualità poco probabile. Lo stesso Peluso è sotto inchiesta per l'episodio accaduto tre giorni dopo, sempre all'interno del carcere di Frosinone.
Il 19 settembre, infatti, Peluso è riuscito a procurarsi un'arma. Secondo le ipotesi investigative, la pistola gli è stata recapitata attraverso un drone fatto volare dall'esterno verso la cella dove si trovava Peluso. Così, stando alle accuse, ha preso l'arma e ha fatto fuoco nella cella dove si trovava un gruppo di detenuti, quegli stessi che tre giorni prima lo avevano aggredito.
Subito, infatti, si è trattato di vendetta per lo sgarbo subito.

Ora chiusa l'indagine per la prima parte della vicenda, si aspettano le conclusioni della procura di Frosinone quanto al secondo capitolo di una vicenda che ha fatto il giro d'Italia. Era dagli anni di piombo si è detto che non si sparava all'interno del penitenziario. Una situazione talmente grave che, a Frosinone, si era presenta per fare il punto della situazione accanto al procuratore Antonio Guerriero, il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Bernardo Petralia.
Quest'ultimo aveva ordinato un'ispezione a 360 gradi all'interno del carcere di Frosinone.