Un paziente affetto da sclerosi multipla, anche in stato avanzato, ma lucido e capace di intendere e volere non è costretto a vedersi affiancare un amministratore di sostegno contro la sua volontà. Un principio importante, quello che si evince dal pronunciamento del presidente della Corte d'appello di Roma (Sezione della Persona e della Famiglia) Pagliari su un reclamo proposto da un imprenditore del settore sanitario di Cassino, assistito dagli avvocati Armando Pacione ed Antonella Germani. Una sentenza destinata a fare a scuola, che rinsalda principi importanti che guardano sì all'esigenza di aiuti concreti per il paziente che è ben consapevole della malattia. Ma senza che siano lesi la sua dignità e il rispetto di un altro dei principi cardine della nostra Costituzione: quello di autodeterminazione. Principio che affonda le radici in quella sfera di diritti soggettivi assoluti, particolarmente discussi quando integrati in ambito sanitario. Ma sempre inattaccabili.
La storia
Il provvedimento con cui è stato accolto il reclamo proposto dall'imprenditore in riforma del decreto dell'aprile scorso del giudice tutelare fa riferimento a un caso destinato a fare giurisprudenza. Tutto nasce dalla gestione di questioni patrimoniali dell'imprenditore affetto da sclerosi multipla in stato avanzato, con una richiesta di tutela presentata da alcuni familiari.
Nonostante nelle diverse audizioni effettuate il giudice tutelare avesse evidenziato l'assoluta integrità intellettiva del paziente, in prima battuta aveva disposto l'affiancamento di due amministratori di sostegno, uno per l'assistenza e l'altro per il profilo ereditario. Ma il paziente, ritenendo che (come accaduto sino ad allora) potesse continuare a essere assistito comunque da parte dei suoi familiari, ha proposto reclamo attraverso gli avvocati Pacione e Germani, chiedendo che fosse eliminata questa presenza terza o che in subordine «vi fosse la rimodulazione dei compiti assegnati a l'amministratore esterno, con effetti meno mortificanti della sua autodeterminazione».
Questo l'aspetto preminente: come affermato dal giudice, «un paziente affetto da una patologia neurovegetativa per la quale necessita di assistenza per ogni attività della vita quotidiana ha piena capacità intellettiva» ed è «in grado di autodeterminarsi». Nelle tre audizioni effettuate durante il giudizio di interdizione e nelle due in sede di reclamo il paziente ha infatti «sempre espresso il dissenso alla coadiuvazione di persone estranee al nucleo familiare nella gestione dei propri interessi». Come ribadito dalla giurisprudenza corrente, l'amministratore di sostegno non deve «intaccare la dignità personale» ma sostenere le persone fragili. Un principio richiamato dalla Corte di legittimità, che sottolinea come nel caso in cui «l'interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o si opponga alla nomina dell'amministratore, e che la sua protezione sia già assicurata da familiari o dal sistema delle deleghe, il giudice non può imporre misure restrittive delle sua libera determinazione, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione e della dignità personale dell'interessato». E come ricordato dalla Cassazione nel 2020, al contrario «ciò limiterebbe in modo ingiustificato la capacità di agire della persona».