L'arrivo di un drone per recapitare una pistola nel carcere di Frosinone poi usata per far fuoco contro altri detenuti aveva fatto scalpore. Era dagli anni di Piombo che non si sparava in carcere. Il grave episodio aveva avuto un prologo. Ovvero, come già emerso nell'immediatezza dei fatti, l'aggressione subita qualche giorno prima degli spari, il 16 settembre scorso, dal detenuto Alessio Peluso. L'esponente del clan Lo Russo avrebbe agito per vendicarsi. Mentre per l'episodio più eclatante vanno avanti le indagini per risalire agli eventuali fiancheggiatori di Peluso e su come siano riusciti a eludere la sorveglianza per recapitare l'arma in cella, per l'altro è arrivato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Sono cinque i detenuti, nel frattempo trasferiti dalla casa circondariale di Frosinone in altre strutture in giro per l'Italia, indagati per l'aggressione a Peluso, refertato all'ospedale Spaziani di Frosinone con 15 giorni di prognosi (e poi trasferito a Rebibbia). Tra di loro ci sono elementi di spicco della criminalità organizzata campana come Genny Esposito, 32 anni, di Napoli, figlio di Luigi, boss del clan Licciardi. Ma anche l'albanese Andrea Kercanaj, 44, di Frosinone, più volte coinvolto nelle operazioni contro lo spaccio di droga in via Bellini, allo Scalo. Con loro risultano indagati pure Marco Corona, 35, di Napoli, Mario Avolio, 55, di Napoli e l'altro albanese Blerim Sulejmani, 37. A tutti e cinque gli indagati (difesi dagli avvocati Alessandro de Federicis, Riccardo Masecchia, Gian Pio Papa, Carmela Marzella, Stefania D'Agostini e Emilio Biancucci) il pm Adolfo Coletta contesta il sequestro di persona.

Il mattino del 16 settembre, tutti, detenuti nella sesta sezione del III reparto, si trovano durante il periodo di apertura delle celle e di libera circolazione. «Profittando della permanente assenza di controllo e vigilanza nella sezione da parte di personale della polizia penitenziaria», sostiene l'accusa, Peluso, una volta entrato nella cella numero 14 restava in balia degli altri detenuti per un paio di minuti. Stando alle accuse, Corona, Esposito e Kerkanaj lo seguivano nella cella con Kerkanaj che chiudeva il cancello, Avolio e Sulejmani il portone blindato e la finestrella di controllo, restando a presidiare la cella e impedendo agli altri detenuti di avvicinarsi. Secondo l'accusa, inoltre, «dopo il tardivo arrivo in sezione di personale della polizia penitenziaria, impedivano e comunque ritardavano l'intervento degli agenti per ristabilire l'ordine e assicurare la libertà di movimento del Peluso».

A tutti gli indagati sono contestate pure le lesioni personale pluriaggravate. Nello specifico Corona, Esposito e Kerkanaj «lo picchiavano con violenza attingendolo con pugni e calci, e Avolio e Sulejmani assicuravano la continuità dell'azione», impedendo che altri reclusi potessero giungere in soccorso di Peluso.
Quest'ultimo subiva la frattura scomposta di orbita e zigomo nonché contusioni e ferite varie al capo e al labbro, giudicabili guaribili in 15 giorni.