Omicidio di Gabriel, udienza d'appello ieri per papà Nicola. La prima sezione della Corte d'assise d'appello di Roma accoglie la proposta di concordato dell'avvocato Pasquale Cardillo Cupo e annulla l'ergastolo stabilito a conclusione di un rito ordinario dal tribunale di Cassino. Con il consenso della Procura generale e della Procura della Repubblica di Cassino, concedendo all'imputato la riduzione della pena, Nicola Feroleto - accusato insieme alla madre del piccolo, Donatella di Bona, di aver ucciso il figlio di circa due anni a pochi metri da casa - passa dall'ergastolo a ventiquattro anni di reclusione. Che tra quelli già scontati e la buona condotta, potrebbero essere poco più della metà.

La parole di Nicola
«Avrei potuto far molto di più per Gabriel, ho un peso nel cuore e nella testa che mi porto dietro tutti i giorni»: prima di procedere con il concordato, Nicola - che resta recluso nel carcere di Velletri - ha voluto rilasciare una dichiarazione spontanea. Parole difficili da pronunciare. Nessun riferimento, invece, a quella giornata in cui Gabriel moriva (17 aprile del 2019) a un passo da casa. Per l'accusa, soffocato dalla madre sotto lo sguardo del padre, perché piangeva.

E neppure riferimenti ieri in aula alle contestazioni mosse a suo carico: secondo l'impianto accusatorio Nicola non avrebbe mosso un dito. In manette dopo l'omicidio finiscono prima la madre, Donatella Di Bona di Piedimonte - condannata in abbreviato (condizionato a una perizia psichiatrica) a trent'anni - e poi Nicola, di Villa Santa Lucia. Che in primo grado viene condannato all'ergastolo. A pesare a suo carico - come si legge poi nelle motivazioni della sentenza di primo grado - le aggravanti dei futili motivi, della minorata difesa (per l'età della vittima che si sarebbe attesa dai genitori sono protezione), del grado di parentela ma anche della gravità delle condotte. Per la Corte di Cassino Nicola non solo non avrebbe impedito, ma si sarebbe anche intrattenuto «per discutere poi sulla versione da fornire».

Un omicidio brutale, scaturito da un motivo «banale e abnorme»: il pianto ininterrotto del bimbo. Anzi, per i giudici cassinati l'intervento dell'uomo a tutela del piccolo sarebbe potuto essere agevole. Invece «ha assistito senza fare nulla alla disperata agonia del figlio che ha cercato con tutte le sue forze di vincere l'azione violenta della madre provando a strappare le mani della donna dalla bocca, fino a graffiarsi».

Ma la difesa - che solo dopo la sentenza è stata affidata all'avvocato Cupo - non è convinta: "troppe le verità" che raccontano, in ambito processuale, questa drammatica storia; diversi i dubbi sulla ricostruzione (con elementi controversi) ma anche sul luogo dell'omicidio. Stesse considerazioni per quanto riguarda, ad esempio, alcuni elementi come il telefono di Donatella lasciato a casa o il "dettaglio" raccontato dalla stessa Donatella (che poi depone nel processo a carico di Nicola come teste) legato al gesto di gettare Gabriel tra i rovi: se Nicola sceglie di non intervenire e guarda, perché poi rischia di essere incriminato gettando il figlio tra i rovi? Diversi i punti che la difesa di Feroleto prova a scardinare.

Ieri mattina, con la proposta di concordato, vengono riconosciute a Nicola alcune attenuanti generiche, come la situazione di evidente degrado sociale in cui matura il dramma, la scarsa scolarizzazione dell'imputato, l'elemento affatto secondario della stessa contestazione mossa al papà: una condotta omissiva ma non attiva.

Il commento della difesa

Commosso Nicola ringrazia il suo avvocato. Che commenta: «Ci troviamo davanti alla più grande delle tragedie» ha dichiarato l'avvocato Pasquale Cardillo Cupo, che ha accettato di difendere Feroleto dopo la sentenza di primo grado.
«Quella di ieri è una decisione equa e di giustizia concordata tra accusa e difesa: sicuramente una conclusione matura e ponderata, anche alla luce della condotta contestata all'imputato, responsabile in ipotesi accusatoria di una condotta omissiva. La pena deve sempre tendere alla rieducazione del reo e mai ad una finalità meramente punitiva».