Da quando, lo scorso agosto, i talebani hanno preso il controllo di Kabul, si è tornati a parlare di profughi afghani. Secondo le stime dell'Unhcr, fino a 500mila afghani potrebbero lasciare il proprio paese nel 2021. L'Europa, tuttavia, è divisa sulla strategia di accoglienza da adottare.

Nel suo intervento al meeting di Comunione e liberazione a Rimini, il 23 agosto, il ministro degli esteri Luigi di Maio ha dichiarato che, oltre ai 1600 civili e operatori umanitari che erano già stati evacuati nei giorni precedenti, le autorità italiane avrebbero portato via dall'Afghanistan altre 2500 persone. Il bilancio di fine mese è stato di circa 5mila persone evacuate.
Ha inoltre enfatizzato l'importanza del multilateralismo nella cooperazione internazionale e la necessità di gestire la futura pressione migratoria dall'Afghanistan attraverso una strategia europea comune e coesa.
L'Europa non è il continente che accoglie il maggior numero di rifugiati afghani. Secondo l'Unhcr, dei circa 2,6 milioni di rifugiati afghani presenti nel mondo (senza includere gli sfollati interni), 1,4 milioni si trovano nel limitrofo Pakistan e 780.000 in Iran.

L'Italia è in prima linea in questa fase di accoglienza. E lo sta facendo soprattutto con le proprie organizzazioni umanitarie ma, ancora di più, con le Diocesi, le Caritas e i tanti movimenti di volontariato che si occupano di assistenza alle popolazioni più povere e in difficoltà. In merito, ci siamo recati presso la sede della Caritas della Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino dove sono ospitate alcune famiglie fuggite dall'inferno dei talebani. Ecco il resoconto di questo "incontro".

Un papà e una mamma con le loro due bambine, una moglie costretta a lasciare il marito giornalista e a fuggire con altri, una donna con un figlio in arrivo e altri tre da proteggere. Sono i primi tre nuclei familiari provenienti dall'Afghanistan accolti dalla Caritas di Frosinone grazie alla Cooperativa Diaconia e oggi finalmente al sicuro.

Le famiglie, costrette a scappare dal regime talebano, sono entrate a far parte del progetto di accoglienza momentanea "Cas Frosinone" che da oltre 10 anni è gestito da Diaconia, ente gestore della Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino. La prima famiglia è stata accolta già nel mese di luglio, quando i primi contingenti iniziavano a lasciare il Paese. Omar (nome di fantasia) ha collaborato per oltre 13 anni con l'esercito italiano in qualità di traduttore. Dalle sue parole traspare tutto il dramma che sta ancora vivendo. «Con il ritiro della Nato, in pochi giorni siamo stati evacuati dall'aeroporto di Herat – racconta - I talebani cercano i familiari di chi ha collaborato con la forza di intervento internazionale (Isaf) per ucciderli.

Le stragi sono aumentate man mano che acquisivano potere. I miei genitori, fratelli e sorelle hanno abbandonato la casa e si sono trasferiti in un'altra zona per nascondersi. Il Governo Italiano ha evacuato molte persone, ma tante sono restate nel Paese come i miei familiari. Non li sentiamo da quando siamo partiti. L'appello che faccio alle autorità italiane è di evacuare anche loro in un luogo sicuro come l'Italia».
Oggi i figli di Omar vanno a scuola, iniziano ad imparare l'italiano e la cultura del nostro Paese. Anche per questo Omar spera di essere presto inserito in un percorso di integrazione vero con un progetto Sai.

Oltre ad Omar e la sua famiglia, c'è anche Aida (nome di fantasia) che in Afganistan ha lasciato il marito giornalista di cui non ha notizie dalla sua partenza. È fuggita ad agosto insieme agli ultimi contingenti dopo la presa di Kabul dei Talebani assieme ai due figli di 3 e 4 anni, al giovane fratello ingegnere e ad un'altra ragazza di 19 anni. Hanno avuto pochissime ore per preparare la partenza. Alcune valigie in cui mettere una vita intera e partire verso un Paese sconosciuto. Come gli altri nuclei familiari, dopo una quarantena legata al Covid di 22 giorni sono stati accolti dalla Cooperativa Diaconia in appartamenti nelle città di Ferentino, Ceccano e Frosinone.

Si tratta di un'accoglienza diffusa sperimentata da tempo da Diaconia che permette di integrare al meglio i migranti richiedenti asilo o già dentro progetti in piena sintonia con le comunità locali.
«Grazie al lavoro quotidiano dei nostri operatori, cerchiamo di dare un significato reale alla parola integrazione – spiega Fabio Piccoli, responsabile dell'area Accoglienza di Diaconia - Con servizi di mediazione, supporto materiale e psicologico, insegnamento della lingua italiane, tutela delle vittime di violenza, formazione ed inserimento lavorativo garantiamo a chi arriva nel nostro Paese la possibilità di iniziare una nuova vita.

Dopo questa fase emergenziale in cui ci siamo messi a disposizione della Prefettura per dare la migliore accoglienza possibile - riprende Piccoli - l'auspicio è di poter inserire presto queste famiglie in veri percorsi di integrazione come il Sistema di Accoglienze e Integrazione Sai. Siamo orgogliosi d'esser stati scelti dalle autorità per questo delicato compito che ci permette di restituire serenità a chi a causa della guerra ha perso tutto».

Un terzo nucleo familiare, sempre accolto da Diaconia, è composto da Jamaal (anche questo nome di fantasia) da sua moglie incinta e dei loro tre bambini di 4, 10 e 14 anni. Jamaal per anni ha fatto il cuoco lavorando per l'esercito italiano e per questo, come altri sui connazionali, sarebbe stato perseguitato dai talebani. Oggi sono accolti a Ceccano e tutta la comunità locale si è adoperata donando loro vestiti, giocattoli e donazioni dirette.

«La loro prima richiesta è stata di incontrare delle famiglie locali per conoscere meglio il nostro Paese e la sua cultura – racconta un'operatrice Diaconia – Abbiamo subito individuato la famiglia con la quale è nato subito un rapporto sincero nonostante la distanza culturale. Il nostro metodo di lavoro prevede infatti il rispetto delle usanze dei migranti, come ad esempio nell'educazione dei bambini, ma allo stesso tempo una costante trasmissione di quella che è la nostra cultura e le nostre leggi. Un approccio che ci ha permesso di velocizzare il processo di integrazione di chi arriva nella nostra provincia».