Ventitré anni e cinque procedimenti tra penale e civile per avere giustizia. E per ottenere il risarcimento dei danni per la mancata tempestività dell'intervento chirurgico che avrebbe, con ragionevole probabilità, salvato la vita all'ex dipendente comunale di Monte San Giovanni Campano Antonio Fabrizi di 64 anni. La terza sezione della Corte d'appello di Roma ha condannato l'ospedale di Frosinone (era ancora l'Umberto I) a risarcire i familiari del deceduto, assistiti dall'avvocato Nicola Ottaviani, di 600.000 euro. Tutto ha inizio il 12 dicembre del 1998 in occasione del pranzo di pensionamento dell'uomo. Fabrizi avverte un forte dolore allo sterno, inizia a sudare e a diventare bianco.
I familiari pensano all'ini zio a un malore passeggero, causato forse dall'emozione di salutare i colleghi di una vita. Ma il dolore non passa così Fabrizi viene accompagnato al pronto soccorso dell'Umberto I.

A cardiologia gli prescrivono ecocardiogramma e Rx toracico ma gli esami non vengono effettuati subito.
Con il tempo aumenta il dolore, finché il giorno dopo, sottoposto ad ecocardiogramma, gli viene diagnosticata la dissecazione dell'aorta. Ormai sono passate 36 ore dal ricovero. Il paziente viene allora trasferito al San Camillo per un intervento chirurgico in emergenza, ma mentre inizia l'operazione, Fabrizi muore. I familiari presentano denuncia e si affidano a dei consulenti.
La procura di Frosinone prima indaga nove medici, ma poi chiede per ben due volte l'archiviazione. La famiglia si oppone sempre, finché l'allora gup Mario Parisi ordina l'imputazione coatta. Così si va a giudizio, ma malgrado la consulenza medica, il processo si prescrive già in primo grado.

Si va in appello e anche lì è confermata la prescrizione, ma entrambe le sentenze censurano il comportamento dei sanitari di cardiologia. La sentenza è confermata anche dalla Cassazione. A quel punto i familiari incaricano l'avvocato Ottaviani di proseguire con la causa civile. Che a Frosinone si conclude nel 2015 con un rigetto perché il giudice civile sostiene la mancanza di elementi a carico dell'Asl. Si va in appello davanti alla III sezione. La corte accoglie la stessa istanza, formulata in primo grado, di ripetere la perizia. I due periti del tribunale statuiscono come vi sarebbe stata una percentuale di salvezza, prossima al 60%, se l'ecocardiogramma fosse stato fatto nel momento in cui il paziente era entrato in ospedale a Frosinone.
Per i giudici vi è una correlazione diretta tra aumento delle possibilità di salvezza e tempestività dell'intervento chirurgico. Sulla scorta di tali elementi la Corte d'appello ribalta la sentenza e condanna l'ospedale a risarcire i danni per 600.000 euro. Alla fine dopo cinque processi e 23 anni la famiglia Fabrizi ottiene giustizia in virtù del principio della tempestività dell'intervento.