Alcol ai minori, arriva la chiusura di un bar. Secondo le indagini dei carabinieri della Compagnia di Cassino - agli ordini del capitano Giuseppe Scolaro e del tenente Giovanni Giorgione - la vendita di shot di vodka alla tredicenne finita il 7 agosto in ospedale per intossicazione alcolica acuta sarebbe avvenuta all'interno del "Caffè degli Artisti", in centro. Attività sospesa ora per tre mesi, dopo la rapida e immediata indagine dei militari: in base alle verifiche dell'Arma non si tratterebbe di un caso isolato. La titolare, una cinquantatreenne, è stata denunciata oltre alla proposta di sospensione.

Così con l'ordinanza 126, a firma del segretario generale responsabile ad interim, Rosanna Sanzone, è stata disposta la chiusura dell'attività - recependo la proposta dei carabinieri - per tre mesi: al centro della contestazione (che potrà essere impugnata entro 60 giorni) la «non occasionalità della somministrazione di alcolici a minori di anni 16». Accuse alle quali la titolare potrà controbattere, impugnando la sanzione accessoria davanti al Tar.

Tutto parte dal malore della tredicenne di Cassino registrato il 7 agosto: in ospedale le viene diagnosticata un'intossicazione acuta da alcol. I militari iniziano i riscontri volti a capire cosa la minore possa aver assunto e soprattutto come abbia fatto a procurarsi le unità alcoliche che hanno fatto schizzare il tasso nel sangue a 1.5, ovvero tre volte al di sopra del limite che la legge fissa per la guida in stato di ebbrezza. Gli accertamenti, affatto semplici, mettono insieme i preziosi dettagli forniti dagli amici della minore alle immagini di sorveglianza: impossibile neppure escludere che i maggiorenni del gruppo possano aver procurato alcol ai più piccoli.

Poi il venerdì successivo la denuncia: per i militari sarebbero stati ancora venduti alcolici a minorenni. Quindi la proposta di chiusura. Ordinanza affissa sulla porta dell'attività sabato sera, dopo un incontro tra carabinieri e amministratori avvenuto martedì.

Non solo repressione
L'indagine è stata lampo, la risposta - dopo il gravissimo episodio - più che immediata. Resta, però, l'esigenza di guardare non solo alla repressione. Ma alla prevenzione, ora più che mai necessaria. «L'unità di strada continua a monitorare il centro e non solo. Ma forse da sola non basta - spiega l'assessore alla Coesione sociale Luigi Maccaro, guida di Exodus a Cassino - I ragazzi difficilmente si fanno avvicinare, guai se raggiungi i locali! Alla fine, oltre a distribuire materiale informativo, si riesce a intervenire solo nelle emergenze. Bisogna invece ridisegnare un'idea di prevenzione».

Famiglie: il primo step
Fare l'abitudine a casi di minori, tra i 12 e i 13 anni, già stravolti dalle dipendenze: ecco cosa non funziona. L'uso di sostanze, mix di alcol e farmaci, dipendenza da videogiochi o dai social: tutto sembra essere "normale". E invece no.
«Prima era diverso perché il cosiddetto "tossicodipendente" lo riconoscevi da lontano. Il problema delle dipendenze oggi si nasconde dietro a vite apparentemente normali. Intanto perché si usano sostanze "legali" e non più l'eroina: parlo di alcol e farmaci, ad esempio, che si trovano facilmente e a prezzi contenuti. Basti pensare che con una "paghetta media" dei nostri ragazzi, tutti possono fare uso di sostanze almeno una volta alla settimana. O forse più».

A confermarlo il progetto di ricerca "Selfie" somministrato da Exodus ai ragazzi in tutta Italia. «Ma il vero problema non è la "paghetta". La questione è educativa. I genitori sono perlopiù disarmati e impreparati davanti a queste situazioni, perché la società in generale promuove modelli sbagliati che producono insoddisfazione. La prima cosa da fare, quindi, è ripartire proprio dalle famiglie. A loro l'invito più duro: ai primi segnali, chiedete aiuto».

La cultura del disimpegno
Manca la consapevolezza dei motivi di un così profondo disagio giovanile. «Non possiamo pretendere che gli esercenti, ai quali indubbiamente si chiede più attenzione, diventino i tutori dei nostri figli. Non bisogna di certo generalizzare ma occorre promuovere una cultura della prevenzione che coinvolga tutti: dai genitori ai politici, dai preti agli insegnanti fino ai gestori dei bar. Tutti devono andare "oltre" i propri compiti» aggiunge Maccaro che poi parla di una «cultura del disimpegno che purtroppo attraversa ormai tutte le fasce sociali. E questo è il problema più grave da cui occorre ripartire davvero».