«Chiudo perché sono demotivato e mi sono sentito abbandonato. Non è soltanto una questione economica. La politica ha ignorato me e tanti altri come me che, inevitabilmente, hanno subìto la crisi derivante dalla pandemia. Prendere questa decisione ferisce nell'orgoglio però ho perso completamente la fiducia. E così non si può andare avanti».

Lo sfogo è quello di Alessandro Mele, trent'anni e una fetta importante di vita spesa nel suo "Caffè Piave", nella zona bassa del capoluogo e punto di riferimento prezioso per i residenti della zona e non solo. Dieci anni fa l'apertura. Oggi la saracinesca è abbassata. In mezzo c'è molto: giorni di lavoro intensi, soddisfazioni, speranza nel futuro. Proprio quel futuro che adesso cambia direzione e con il Covid che continua a mordere le caviglie si fa punto interrogativo.

«Per me e per chi come me ha chiuso la propria attività qual è il futuro? In che modo possiamo avere fiducia in uno Stato che nel momento di difficoltà ci ha voltato le spalle? Quali sono le nostre garanzie oggi? Dovremmo forse sperare di essere aiutati nella ricerca di una nuova occupazione? Credo proprio di no. Credo, invece, che bisogna guardare avanti e puntare sulle proprie forze. Sono molto deluso, ma ho ancora l'energia per ripartire in una nuova avventura».
Non qui. Troppa la delusione nel vedere quella saracinesca abbassata. Troppe le speranze che sono rimasti tali.

«Se le cose non cambieranno sarò pronto a valutare l'ipotesi di andare a lavorare in un altro Paese – spiega Alessandro - Sono amareggiato perché ho sempre seguito le direttive e ho investito per adeguare il locale nel rispetto delle norme. Ho fatto tutto quello che è stato possibile fare. Sanificazioni ogni mese, plexiglass, disinfettanti. Non è bastato».

Riavvolgere il nastro e osservare da vicino gli ultimi dodici mesi è difficile. E doloroso. Alessandro lamenta scarso interesse da parte della parte politica nei confronti dei titolari delle attività commerciali e misure nazionali insufficienti per scongiurare la crisi.
«Se all'inizio del lockdown il Covid ha colto tutti di sorpresa – dice – con il passare dei mesi mi sarei aspettato delle risposte concrete. Le aperture parziali, l'asporto, il domicilio non sono state sufficienti per rimettere le cose a posto. Così come i ristori che, complessivamente, non sono stati sufficienti neppure per pagare le bollette. Ma ripeto: la mia non è una questione soltanto economica. Sto parlando di demotivazione e rammarico per il fatto di essermi sentito ignorato da coloro i quali avrebbero potuto tendere una mano a me e a coloro i quali hanno un'attività come la mia».

Alessandro, dopo il percorso di studi, si è catapultato nell'avventura di Caffè Piave. La sua attitudine ha viaggiato di pari passo con la passione. Nessuna crisi profonda prima della pandemia, ci dice. Proprio quella pandemia che, un poco alla volta, ha inferto un colpo duro anche all'economia.
Quella di Alessandro è un'altra piccola impresa che chiude i battenti. Troppe in Italia, così come nel nostro territorio, quelle che hanno abbassato la saracinesca. In molte non riapriranno.

L'ultima stima di Confesercenti, per dare l'idea, parlava di novantamila imprese nel settore della ristorazione in crisi e a rischio chiusura. A queste si aggiungano tutti quelli che hanno rinunciato. In ventimila, stando alle stime, le imprese che non sono nate per investimenti troppo alti e per il clima di incertezza.
La federazione italiana dei pubblici esercizi, invece, in uno dei suoi report ha definito il 2020 l'annus horribilis della ristorazione italiana, aggiungendo che l'anno si è chiuso nel peggiore dei modi con perdite importanti soprattutto negli ultimi due mesi (novembre-dicembre). Quelli che, di solito, in considerazione della concomitanza del periodo natalizio, riservano maggiori ingressi per le attività. Anche in questo caso sono i numeri a parlare. Dalla Fipe segnalano complessivamente 37,7 miliardi di euro di perdite, circa il 40% dell'intero fatturato annuo del settore andato in fumo.

Un'altra indagine (Askanews) spiega che nel 2020 sono andati persi circa 578.000 posti di lavoro e la ristorazione risulta proprio tra i settori più colpiti. In termini di percentuale le vendite sono diminuite del 48%. Circa 330.000 attività tra bar, ristoranti e mense, circa 70.000 industrie alimentari e circa 740.000 aziende agricole che danno lavoro a più di 3.600.000 persone sono interessate dalla crisi.
La freddezza dei numeri, non bisogna dimenticarlo, nasconde le persone. Quelle che vivono sulla propria pelle la concretezza di quelle cifre.

«A marzo 2020 – racconta Alessandro – pensavamo, illudendoci fosse così, che stessimo vivendo una situazione temporale circoscritta. Stringete i denti, ci hanno detto. E noi lo abbiamo fatto per oltre due mesi lavorando zero. Non solo. Oltre ai mancati guadagni bisogna aggiungere la merce che, purtroppo, è andata persa a causa della mancata vendita. Panini, tramezzini, gelati. Ma non solo. Parliamo nel mio caso di più di tremila euro di prodotti. In quel periodo, nonostante tutto, c'era ancora quella speranza e quella fiducia che, dall'altra parte, qualcosa si potesse muovere nella nostra direzione. Ma evidentemente non è andata così. Oggi – conclude – pur essendo deluso a livello umano non ho intenzione di mollare. Voglio guardare avanti e ripartire».

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