Le varianti rappresentano una naturale evoluzione del virus, qualsiasi esso sia. Attualmente è una tematica che sta molto preoccupando e che sta scatenando diversi dubbi sulla contagiosità, sull'aggressività ma, soprattutto, sull'efficacia della campagna vaccinale anti-Covid.

Una conseguenza naturale, perché questi virus RNA, così come quello dell'influenza, presentano quello che per gli esseri umani è un "difetto", ma che per i virus stessi diventa un vantaggio: la grande capacità diffusiva che permette loro di espandersi più velocemente e più facilmente. Ne abbiamo parlato con il dottor Pino Di Luzio del Servizio Igiene Pubblica della Asl di Frosinone.

In questo momento ci sono varianti attive in Ciociaria? E quali sono?
«Sì, da oltre un mese abbiamo riscontrato la presenza di quella inglese e di quella brasiliana, che nel nostro territorio stanno incidendo in maniera più cospicua rispetto ad altre zone della regione».

Esattamente in che misura? Quanti casi sono stati accertati?
«Il totale esatto non lo conosciamo ma possiamo comunque affermare che i pazienti contagiati dalle varianti sono almeno il 50% del totale: questa è una stima ragionevole del loro impatto in Ciociaria».

Quanto sono più pericolose del Covid "normale"? «Bisogna distinguere fra le due varianti. Quella inglese preoccupa in particolare per la sua alta infettività rispetto al virus base. Quella brasiliana, invece, soprattutto perché potrebbe rendere inefficace l'immunità naturale raggiunta da chi ha già contratto il Covid o quella "indotta" attraverso la somministrazione dei vaccini. In questo caso si pone un problema di sanità pubblica in prospettiva futura perché se le varianti, e in primis quella brasiliana, dovessero diffondersi prima che sia stata ultimata la campagna vaccinale nazionale potrebbe essere vanificata, almeno in parte, l'efficacia della profilassi attuata, con il rischio di dover assistere ad un nuovo dilagare del virus e quindi di dover ricominciare daccapo».

Cosa fare quindi?
«È fondamentale arginare il più possibile, come del resto già stiamo facendo, il diffondersi delle varianti, che per loro natura hanno un'elevata velocità di propagazione. Bisogna perciò circoscrivere il prima possibile le infezioni per non perderne il controllo, sia monitorando i casi accertati sia risalendo alla fonte originaria di ogni singolo cluster per ricostruire la rete dei contatti e porre così un freno al virus mutato.
A tal fine per quanti sono contagiati dalle varianti abbiamo già disposto un allungamento della quarantena da dieci a quattordici giorni. Lo scenario peggiore sarebbe proprio il vedersi sfuggire di mano la loro diffusione, ma siamo pronti e ben attrezzati perché ciò non avvenga».

Come si argina una variante?
«Dal punto di vista della prevenzione non cambia nulla.
Come detto prima, sono decisivi l'isolamento dei casi accertati e l'identificazione dei contatti per l'immediata quarantena. Poi, in aggiunta a quello che già facciamo normalmente, si aumenta l'isolamento a quattordici giorni e si dispone l'esecuzione di tamponi molecolari ad inizio e fine quarantena. Ovviamente ogni cittadino deve prestare ancora maggiore attenzione alle misure di sicurezza già in atto: uso costante della mascherina, lavaggio frequente delle mani e distanziamento sociale».

Sotto l'aspetto clinico le conseguenze sono più pesanti?
«Diciamo che sono sovrapponibili con quelle causate dal Covid che conosciamo. Il vero problema sta nella loro maggiore infettività, si propagano più facilmente.
Inoltre, hanno causato un sensibile abbassamento dell'età media dei contagiati, fra i quali oggi annoveriamo anche soggetti giovani e molto giovani».

Ci spiega meglio?
«L'età media delle persone colpite da variante si attesta tra i quarantacinque e i cinquant'anni, mentre come sappiamo con il Covid "base" è sensibilmente più alta ed è abbastanza raro trovare positivi giovani. Ora invece abbiamo anche bambini e ragazzi, anche se le manifestazioni cliniche in questo caso sono molto minori».

Il decorso è più lento?
«I tempi di guarigione, come anche il tipo di terapia, sono pressoché identici essendo la manifestazione clinica sovrapponibile. Stesso discorso per chi è gravato da altre patologie: anche per loro non cambia nulla in termini di pericolosità, cure e tempi di guarigione».

Quindi il vero problema è essenzialmente quello legato all'efficacia dei vaccini e alla rapidità di diffusione delle varianti…
«In sintesi sì, i rischi sono questi. Del secondo abbiamo già detto e precisato cosa stiamo facendo e cosa faremo. Quanto ai vaccini, beh, le varianti possono diminuirne l'efficacia. Per quella brasiliana questo aspetto è stato già accertato. Ad esempio, abbiamo avuto casi di soggetti ai quali erano già state somministrate due dosi di vaccino che a dieci giorni dalla seconda si sono infettati con la brasiliana. E in questi casi si deve ricominciare daccapo. Ecco perché ribadisco l'assoluta necessità di isolare il più possibile chi oggi è stato infettato da una variante e di raggiungere rapidamente i contatti avuti così da arginarne il proliferare».

La sanità ciociara è attrezzata per fronteggiare le varianti?
«Certamente sì. È stato già dimostrato dalle risposte date finora e per il futuro abbiamo i nostri protocolli di intervento pronti».

Oltre alle varianti qual è il rischio più grave che possiamo correre?
«Sentirsi al sicuro e allentare le misure di sicurezza.
È invece fondamentale, anche in presenza di un ulteriore calo della curva dei contagi, mantenere ancora tutte le forme di prevenzione – gel, mascherine e distanza – perché con questo virus dovremo convivere ancora per molto. Di certo fino alla totale copertura vaccinale della popolazione».

Fino a quando le mascherine, simbolo della pandemia?
«Non vorrei apparire pessimista, ma di sicuro per tutto il 2021 e molto probabilmente anche nel 2022».

È d'accordo con le riaperture di lunedì 26?
«Da un punto di vista epidemiologico non posso essere d'accordo ma le accetto perché comprendo le spinte sociali ed economiche che la "politica" ha subìto».

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