Sono nella ristorazione da oltre vent'anni e una cosa così non l'avevano mai nemmeo immaginata. La pandemia, come un colpo di spugna, potrebbe cancellare anni e anni di lavoro. Saracinesca chiusa, arrivederci e grazie. Con buona pace di un territorio che prova a tenere botta economicamente anche grazie all'occupazione fornita dalle piccole imprese. Ma tanto è, perché il Covid non tiene conto delle storie, delle facce, delle piccole e delle grandi paure dentro ognuno di noi.

L'Italia, nell'ultimo anno, ha rincorso i dati. Dati che sono sofferenza, dolore, vite umane. Ha cambiato colore, allargando o restringendo le maglie del ciò che è possibile e del ciò che non è possibile, cercando di arginare un fenomeno che ha sconquassato tutto. E il prezzo da pagare è ancora alto.

L'economia locale ha preso uno schiaffo in faccia. Edilizia, metalmeccanico, ristorazione. Marco Paniccia e Donato Cannazza lo sanno bene. Sono i titolari del ristorante 3 Punto 0 a Frosinone, una ventina di dipendenti e oggi trecento posti vuoti. Da sempre masticano la ristorazione. Il locale che si trova in viale Tevere è stato inaugurato ad agosto 2018 ed è, con altri, uno dei punti di riferimento della ristorazione nel capoluogo.

«Abbiamo fatto e stiamo facendo il possibile per resistere – spiega Marco – Ma in queste condizioni è davvero complicato. Già dal primo lockdown, marzo e aprile dello scorso anno, ci siamo mossi per non farci trovare impreparati in vista delle parziali riaperture. Abbiamo investito in dispositivi di protezione, come scanner per il rilevamento della temperatura e plexiglass, e sanificazioni. Abbiamo seguito le regole: distanziamento e riduzione dei tavoli. Inoltre, ci siamo prontamente organizzati con le consegne a domicilio mettendo a punto un sito internet ad hoc. Abbiamo elaborato menu speciali, offerte, promozioni. Il possibile – prosegue – è stato fatto. L'impossibile non possiamo farlo».

L'amarezza è tanta. Così come i pensieri rivolti al futuro. Le ultime misure adottate dal governo prevedono la possibilità di lavorare a pranzo e fino alle 22 (solo per i ristoranti con posti all'aperto) a partire dal 26 aprile. Poi, numeri permettendo, gradualmente si prevede un ritorno a una situazione migliore. Ma sarà davvero così? I pensieri oscillano tra la speranza e i timori di una normalità che non tornerà più.
«La speranza è che a maggio si possa ripartire al meglio, sempre con le dovute precauzioni e in tutta sicurezza, perché andare avanti così per noi si fa sempre più difficile. Il rischio – ci dice Marco – è quello della chiusura. Non voglio nemmeno pensarci. Per noi, per i nostri dipendenti. Tra loro ci sono anche padri di famiglia».

La difficoltà è tangibile. Si va avanti con la cassa integrazione e quel poco di ristori non basta. Ce lo spiegano in tutta franchezza.
«I ristori presi non sono stati per nulla sufficienti a colmare il gap con gli incassi fatti nel periodo pre-covid. Parliamo – evidenzia Marco – di 20.000 euro circa di ristori presi fino a dicembre. Poi il vuoto. La consegna a domicilio, l'asporto, le parziali riaperture della zona gialla ci hanno aiutato ad andare avanti, ma lavorando a pieno regime, nel lungo periodo dal primo lockdown, avremmo potuto incassare ben altre cifre. A questo si aggiungano i costi fissi di un esercizio commerciale. A partire dalle bollette».

Normalità. È questa una delle parole chiave. Anche per Donato. «Nell'ultimo periodo abbiamo lavorato soltanto con asporto e consegne a domicilio dal venerdì alla domenica. Questo per cercare di continuare ad accontentare la nostra clientela. La loro vicinanza ce l'hanno fatta sentire continuando, quando possibile, a ordinare e a mangiare i nostri prodotti. E noi, di contro, abbiamo continuato a metterci il massimo impegno per ripagare la loro fiducia. Un rapporto di solidarietà che è andato oltre il cliente-ristoratore. Questa situazione, infatti, ha fatto scattare anche qualcos'altro. Parlo di vicinanza umana e di affetto. Per questo a chi ha continuato a preferirci, nonostante ad esempio l'exploit delle pizze fatte in casa, non possiamo che dire grazie».

Le restrizioni causate dalla pandemia hanno cambiato le abitudini. L'aspetto da considerare, in vista dell'auspicabile graduale riapertura delle attività, è anche di carattere psicologico. Ovvero, le persone torneranno normalmente e in maniera spensierata nei locali o l'economia dei ristoratori subirà un altro nuovo colpo? Difficile rispondere. La preoccupazione esiste.
«Se da una parte il Covid ha cambiato le abitudini portandosi dietro la conseguenza, e il rischio, che ci possa essere un contraccolpo psicologico anche sulla voglia di uscire per mangiare, soprattutto nelle famiglie – concordano Marco e Donato – dall'altra crediamo che, quando finalmente questo periodo buio sarà terminato, le persone avranno voglia di tornare alla socializzazione. Quella che all'interno di un locale si può trovare seduti intorno a un tavolo imbandito e accanto alle persone che ci fanno stare bene».

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