Niente omicidio volontario ma preterintenzionale. La Corte d'assise d'appello di Roma, nel motivare la condanna a 14 anni di Michel Fortuna, Mario Castagnacci e Paolo Palmisani e nell'as solvere ancora Franco Castagnacci, sgombra subito il campo sulla qualificazione del fatto.

Non omicidio volontario come chiesto da accusa e parte civile. Anzi, in uno dei passaggi iniziali delle motivazioni, i giudici di appello scrivono: «È emersa una convincente "tenuta" logica della sentenza appellata».

Sulla causa della morte, la Corte, riferendosi ai consulenti medici, evidenzia che «il povero Emanuele riportò la frattura fatale in seguito alla caduta originata dal colpo importante subìto nella fase finale della tragica vicenda. Le precedenti lesioni non forniscono alcuna certezza in merito ad eventuali effetti lesivi, che anzi vanno esclusi –il prof. Potenza si è spinto sino a conferire alla tesi propugnata il 99% di percentuale – poiché si sarebbe trovato, in sede di Tac, un diverso quadro».

Per la Corte d'assise d'appello può ritenersi provato che Emanuele, la notte tra il 24 e il 25 marzo 2017, «senza averne alcuna responsabilità» è «oggetto dell'aggressività di Domenico Paniccia» nel locale Mirò dove sono «presenti Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, verosimilmente ubriachi e "su di giri"».
Non è accertata, in questa fase, la presenza di Michel Fortuna, mentre non vi è prova che lo fosse Franco Castagnacci. I buttafuori portano fuori dal locale Emanuele usando sullo stesso «un'accertata dose di violenza, con uso dei manganelli», si legge nella sentenza. Fuori, Emanuele protesta, mentre «Mario Castagnacci e Palmisani sono palesemente aggressivi contro Emanuele e lo colpiscono. Sono presenti i buttafuori e sono armati di manganelli. Più di un testimone ha la percezione che si sia in presenza di due gruppi contrapposti fra i quali Franco Castagnacci sta cercando di mettere pace».

Qui Franco è colpito, non è ben chiaro se da Emanuele, dall'amico Gianmarco Ceccani o dai buttafuori, anche se la Corte sembra propendere per la prima ipotesi.
Franco insegue Emanuele con Mario, Palmisani e uno o due buttafuori. «In questa fase –annota la Corte – compare sicuramente Fortuna». Quindi, «tutti, ad eccezione di Franco, colpiscono Emanuele, incluso secondo alcune deposizioni uno dei buttafuori».
Emanuele cade «colpito da Palmisani». Si rialza e fugge. Ma cade ancora, raggiunto da Castagnacci padre «che lo sovrasta, ma non v'è prova che lo colpisca». Qui «i buttafuori escono di scena, non prima – rileva la Corte – di aver disarmato Palmisani che è andato in macchina a prendere una chiave con evidente intento aggressivo».

Emanuele raggiunge Ketty, la sua ragazza. Quindi «Palmisani, Mario Castagnacci e Fortuna (ma non solo costoro) si mettono all'inseguimento di Emanuele». C'è Franco che trattiene Ceccani sul muretto con l'esortazione che secondo qualcuno sarebbe "uccide telo", secondo altri "prendetelo". Quindi l'epilogo: «Dopo aver subìto vari colpi dagli inseguitori – scrivono i giudici – Emanuele riceve il colpo fatale da Fortuna e crolla rovinosamente al suolo, urtando contro il montante della Skoda parcheggiata».

Dei quattro imputati, il solo a rimanere sul posto sarà Franco, ascoltato poi dai carabinieri. Secondo la Corte «emerge che gli imputati Mario Castagnacci, Palmisani e Fortuna a più riprese attinsero con colpi ripetuti Emanuele Morganti, e che uno di questi colpi, sferrato da Fortuna, determinò la caduta produttiva dell'impatto del capo con la superficie (montante della Skoda) da cui derivò la frattura fatale».

Per escludere l'omicidio volontario così come richiesto dal procuratore generale e dall'avvocato Enrico Pavia per la famiglia Morganti, «quell'obnubilamento del sensorio, che sarebbe stato reso manifesto dal "barcollamento"...si tratta di una circostanza non provata». In pratica per la Corte le risultanze medico-legali lo escludono. Peraltro, ragiona la Corte d'appello, «se fossero stati provati l'obnubilamento del sensorio e l'indebolimento generale come conseguenza dell'intera dinamica degli eventi non si comprenderebbe l'assenza, fra gli imputati, di quei buttafuori che risultavano aver colpito la vittima con manganellate: costoro sono stati invece archiviati poiché la sequenza di quella tragica sera è stata divisa in due parti nettamente separate».

Tuttavia, nell'escludere l'omicidio volontario, la Corte evidenzia, riportandosi al primo giudice, che «nessuno dei colpi al capo, nemmeno l'ultimo, il più importante, aveva una forza d'urto tale da determinare conseguenze nemmeno potenzialmente letali: la frattura mortale non insorge per una lesione diretta, ma è conseguenza della caduta». Inoltre non ci sono colpi con Emanuele a terra. Per la Corte è «davvero impossibile ipotizzare una spinta omicida».

Al tempo stesso è esclusa la rappresentazione difensiva (avvocati Angelo Bucci, Massimiliano Carbone, Tony Ceccarelli, Chritian Alviani e Giosuè Bruno Naso) della rissa seguita da morte. Quanto all'apporto causale di tutti e tre i condannati, i giudici scrivono che «il clima persecutorio» verso Emanuele «il colpo finale, la caduta finale: nessuno di questi elementi può essere eliminato dalla catena causale che determinò il tragico evento». Quindi, «va confermata la qualificazione giuridica del fatto, mentre meriterebbe opportuna rivalutazione la posizione dei buttafuori».
Esclusa anche la «gradazione di responsabilità» tra i tre, salvo la riduzione della pena dai 16 anni del primo grado a 14. La Corte nega il «concorso materiale nel delitto» di Franco Castagnacci, difeso dall'avvocato Marilena Colagiacomo.

Mentre per la trattenuta a Ceccani «non può dirsi provata di là da ogni ragionevole dubbio» che avesse lo scopo di «sottrarlo alla mischia». Nemmeno può dirsi provato – argomentano i giudici – che l'intervento di Ceccani avrebbe potuto impedire la morte di Emanuele.
Prossimo passaggio, prima della sentenza definitiva, quello della Cassazione.

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