«Nessuno questa cosa l'avrebbe voluta. Nessuno l'ha cercata. Ma ora che c'è stata non serve dimenticarla. Serve invece riattraversarla, col potere che ha la memoria di rivivere ciò che è stato, per farne tesoro.
Per capire se questo tempo così stropicciato ci ha insegnato qualcosa.

Questo è quello che fa la storia. Tiene traccia di tutto. E lo trasforma in memoria. Permettendoci di imparare. Per tenere tutto ciò che serve. E non ripetere ciò che è stato invece fonte di un dolore sterile. Perché il dolore può essere anche fertile. Quando il dolore si fa fertile, non solo c'è elaborazione. C'è anche evoluzione».
Così lo psicoterapeuta dell'età evolutiva e scrittore Alberto Pellai descrive il particolare momento storico che stiamo vivendo. Tutti. Ma in particolare i più piccoli.

Valutare e analizzare l'impatto psicologico della pandemia sui bambini e sugli adolescenti è prioritario, soprattutto in questa fase, per poter intervenire. Ma ciò che va ancor più approfondito è la reazione del singolo all'evento catastrofico. Non tutti, infatti, reagiscono allo stesso modo alle situazioni avverse. Il fatto che l'intera umanità sia stata colpita dal Covid-19 non significa che tutti ne soffrano le conseguenze allo stesso modo. Non tutti i bambini e gli adolescenti avranno gli stessi esiti.

Molto dipende dal contesto, da come hanno vissuto l'emergenza, da come è stata "assimilata" attraverso le parole e i comportamenti degli adulti. Non è la stessa cosa vivere un lockdown in una casa grande e con tutti i comfort rispetto a viverlo in un piccolo appartamento senza comodità, senza mezzi tecnologici o connessioni wi-fi per essere "al passo con gli altri".

Quindi, il bambino o l'adolescente che hanno vissuto mesi nella loro cameretta grande e luminosa, con affaccio sul giardino con la piscina, alla fine di tutto questo avranno meno disagi e difficoltà rispetto ai loro coetanei che hanno condiviso stanze, pc per la Dad, connessioni e ogni altro minimo spazio con fratelli e sorelle? Non è proprio un discorso così semplicistico.
Abbiamo provato ad indagare meglio in questa direzione, parlando con il dottor Aldo Gervasio, psicologo cassinate in pensione, che per anni è stato sul territorio al fianco di generazioni e generazioni di bambini e ragazzi, anche come professore di filosofia, e che oggi continua a mettere le sue conoscenze al servizio della collettività.

Bambini e adolescenti: quali effetti ha avuto dal punto di vista emotivo la pandemia?
«Quello che ho visto durante la mia esperienza professionale e umana al fianco di bambini e adolescenti è che nessun evento in sé è in grado, da solo, di destabilizzare psicologicamente i più piccoli ma nemmeno gli adulti. È come il singolo riesce a reagire all'evento a fare la differenza. Quindi, la pandemia ha avuto veramente un effetto negativo su tutti allo stesso modo? Avremo modo di valutarne meglio gli effetti ma quel che è certo è che molte di queste conseguenze allarmanti che stiamo vedendo solo oggi sono preesistenti alla pandemia.

L'emergenza Covid ha accentuato problematiche già esistenti ma non ne è stata essa stessa la causa. Ha fatto sì che esplodessero disagi celati, che forse spesso non riuscivamo a vedere perché avevamo molto meno tempo per stare a casa con i nostri figli. In oltre quarant'anni di esperienza sul campo, ho avuto modo di accertare che in un soggetto fragile le fragilità si manifestano e aumentano in situazioni di difficoltà mentre i soggetti ben equilibrati riescono ad avere una gestione diversa del problema. Ecco, l'errore più grande sarebbe gestire le conseguenze della pandemia in maniera assolutista».

È vero, molti disagi sono esplosi in questa situazione di emergenza. Il distanziamento sociale, la mancanza di interazione con gli altri, in qualche modo hanno avuto effetti negativi anche sui soggetti più equilibrati. Come gestire questo aspetto?
«Questo sicuramente influisce tantissimo perché vengono a mancare le relazioni e quella socializzazione che contribuiscono a formare la personalità del bambino e dell'adolescente. C'è un isolamento e allo stesso tempo le uniche relazioni dei più piccoli sono quelle con gli adulti, cosa che contribuisce ad amplificare i disagi poiché si "assorbono" i discorsi negativi, le ansie e lo stress degli adulti. Questa deprivazione dei rapporti, della scuola e della socialità porta bambini e adolescenti a chiudersi in loro stessi o, in altri casi, a vivere rapporti virtuali che spesso possono rivelarsi dannosi. Tutto ciò porta ad un'iperproduzione di ansia e di stress, in alcuni casi anche nei soggetti più equilibrati che però hanno una miglior capacità gestionale.

In questo scenario è fondamentale il ruolo dei genitori che devono recuperare la capacità di comunicazione con i propri figli, una cosa importantissima che si è persa molto prima dell'arrivo della pandemia. Da quanto tempo non ci sediamo accanto ai nostri figli a parlare con loro? Da quanto tempo non li ascoltiamo davvero? Ecco, questo momento così drammatico che ci costringe a stare in casa può lasciarci qualcosa di molto profondo, può darci la possibilità di recuperare la vera essenza della comunicazione, quella empatica, fatta di ascolto vero. Solo così potremo capire da cosa dipendano i disagi dei nostri figli. I genitori hanno un'arma potente che è quella di parlare con i loro figli ma non la usano più. Dedicare una parte del nostro tempo ai nostri figli ci fa capire se ci sono dei problemi più profondi che erano destinati a venir fuori e chela pandemia ha solo accelerato. A questo proposito, un grande lavoro sta portando avanti la mia parrocchia di San Giovanni Battista di Cassino, dove si è formato in rete un gruppo di famiglie e figli, con varie attività e proposte formative, grazie al nostro dinamico Parroco don Giovanni De Ciantis e al Team di collaboratori.
Ciò anche allo scopo di valorizzare questo tempo di pandemia e ricavare da essa dei buoni frutti».

Ecco, la comunicazione è stressata. I genitori sono stressati. Le ansie, le incertezza legate alla malattia, la paura del futuro si ripercuotono inevitabilmente sui più piccoli. Come proteggerli da tutto questo? «Questo è il grosso problema, le ansie dei bambini sono le ansie dei genitori, lo stress dei bambini è lo stress che assorbono dagli adulti. Molti genitori sono stressati e quindi comunicano con stress e ansia. Ma davvero siamo certi di poter dire che tutto questo sia iniziato con la pandemia? Torniamo al nostro incipit: la pandemia ha aggravato questa situazione già esistente in numerose famiglie. Bisogna cercare di vivere questo periodo storico con "più distacco", il che significa attraversarlo ma non lasciarsi attraversare. Non bisogna concentrarsi solo sulla paura della malattia, della perdita del lavoro, delle conseguenze.

Questa pandemia non va vista solo in negativo.
Ci ha in qualche modo "vaccinato" psicologicamente.
Ci ha insegnato a recuperare certi valori che avevamo perduto. Tutto questo ci deve servire a recuperare quello che abbiamo perso, a partire dalle relazioni umane. Ci deve aiutare a riscoprire le relazioni vere.
È questo che dobbiamo prendere di buono dalla pandemia, avere contezza di un problema che c'è e che vogliamo risolvere».