Anche Selvacava ha avuto la sua brigantessa. E la riscoperta cade in un periodo in cui, nelle cronache locali, sempre più frequentemente si conducono studi e ricerche su queste figure che pur hanno animato il basso Lazio. È la professoressa Maria Grazia De Ruggiero a tirare fuori dalla memoria storica del territorio la vicenda di una intera famiglia di briganti, quella di Onorio Riccardi che ebbe a che fare con la giustizia.

Da documenti dell'archivio di Gaeta si dice che, con la venuta dei Francesi nel Regno "…il Riccardi diede di piglio all'armi con l'altro suo fratello Raffaele e la figlia Innocenzia …vestita d'uomo di anni 27". Ma quella di Innocenzia fu anche una sua rivolta contro il sindaco che le aveva distrutto una esistenza di contadina con l'arresto dei suoi, l'abbandono al saccheggio di quanto c'era nella sua casa e poi l'incendio della abitazione. La sfida contro autorità civili e politiche sarebbe stata raccolta più tardi da Pietro Garofalo sempre di Selvacava arrestato nel 1869 " con la sua druda… armata anch'essa di fucile".

E lo fa in occasione della Giornata internazionale della Donna, «per ricordare alcune di esse con una sfaccettatura più problematica rispetto alla tradizione che le fa spietate e basta», sottolinea.
Ma a proposito si trattò di donne dei briganti o donne brigantesse?

Affascinante e fondata la risposta della professoressa De Ruggiero: «Risultano poco credibili le foto di brigantesse sedute in bella posa con quel fucile sugli ampi vestiti, atteggiate allo stesso modo delle donne della buona società con i loro ombrellini di pizzo, tanto più che le loro immagini reali sono ben lontane da somigliare a quell'angelo del focolare simbolo delle virtù femminili del tempo passato. Si veda la storia di Niccolina Licciardi, amante di tale Bizzarro brigante calabrese della prima metà dell'Ottocento». Questa giovane donna durante una fuga si vide strappare dalle braccia il bambino appena nato, ne seguirono episodi tragici, tra disperazione e coraggio.

«Nell'Avellinese si svolsero le vicende di Filomena, (1841-1915) detta Pennacchio per le sue piume sul cappello, lo stesso cappello dal quale aveva levato lo spillone d'argento con cui aveva trafitto il marito che le stava usando violenza. Rimanendo ora in Terra di Lavoro, Maria Maddalena De Lellis (1835-1908) di S. Gregorio Matese fu amante del bandito Santaniello, ed è ricordata da alcuni come analfabeta, da altri come scrivana al modo di un diligente impiegato».
«Nel 1865 dopo aver partecipato a una guerriglia tra banditi e forze dell'ordine fu condannata a molti anni di detenzione. Uscita, zoppicante, si ritagliò un nuovo compito, quello di custodire i bambini delle donne che andavano a lavorare. Più romantica la figura di Michelina di Cesare (1841-1908), amante del bandito Francesco Guerra di Mignano Montelungo.

Dai documenti pervenuti si dice che l'uomo stava fuggendo per le boscaglie insieme a un compagno quando fu raggiunto da un colpo mortale sparato dai gendarmi. L'altro riuscì a fuggire ma colpito, trovò la forza di rialzarsi e riprendere la fuga. Una nuova fucilata neanche questa volta mortale lo stese a terra: era Michelina di Cesare, compagna fino all'ultimo del suo amante. Una foto diffusa per spregio mostra il suo bel volto stravolto dalle torture subite in carcere per rivelare il nome dei complici».

Insomma, non donne dei briganti o donne briganti, ma l'una e l'altra cosa insieme, o nessuna delle due, ovvero donne che avevano conservato anche in punta di fucile, anche nella violenta crudezza delle sorti, valori profondi del loro essere donne. Pagine di storia che fanno parte dei territori. E l'originalità di riprenderle per mostrare altre sfaccettature dell'essere donna nel tempo e in base ai tempi che ci si trovava a vivere.