Non sarà come riaccendere l'interruttore. Quando tutto questo sarà finito non si tornerà semplicemente alla vita di prima. Non sarà possibile, perché l'impatto del Coronavirus lascerà un segno profondo. Indelebile. Sul piano sanitario ma pure su quello sociale. Sulla scuola e sul lavoro. E perfino nella sfera delle emozioni, degli affetti. Perché il virus ci ha colpito nel punto più nevralgico e fragile dell'esistenza, quello del contatto. Niente abbracci, niente carezze, niente baci, niente frasi sussurrate. Ci sta costringendo a stare a distanza, perfino nel momento della morte. Con le regole per i funerali. E con tante persone che se ne sono andate da sole, senza neppure il conforto di una mano sfiorata.

No, non sarà come riaccendere l'interruttore. E nei bollettini quotidiani che hanno invaso e stravolto le nostre vite c'è un dato che non dovrebbe essere comunicato in maniera meccanica. È quello dei decessi. In provincia di Frosinone sono morte 415 persone, che hanno lasciato mariti e mogli, padri e madri, figli e nipoti, amici e vicini di casa. Parliamo di 415 vite spezzate. E non è accettabile (non lo è mai stato) sostenere che comunque si trattava di soggetti con patologie pregresse. Non è accettabile perché senza il maledetto virus non sarebbero comunque morte adesso. E ogni attimo di vita in più riempie l'esistenza di ognuno di noi e dei propri cari. Non sarà come riaccendere l'interruttore.

L'inizio
Due marzo 2020. Esattamente un anno fa: arriva la notizia del primo contagio in provincia di Frosinone. Ha l'impatto di una sentenza annunciata. La "guerra" in Italia era già iniziata il 20 febbraio 2020 a Codogno. E in Ciociaria il prologo c'era stato nella notte tra il 30 e il 31 gennaio. Quando a bordo di un pullman a Cassino viene rintracciato il resto della comitiva di turisti della quale facevano parte i due cinesi (moglie e marito) ricoverati all'Istituto Spallanzani di Roma. Nessuno scende dal bus. I sanitari dell'ospedale Santa Scolastica vengono allertati, perché in un primo momento l'idea è quella di far arrivare il pullman all'ospedale di Cassino per far eseguire lì i controlli. Ma intervengono il Prefetto di Frosinone Ignazio Portelli e l'allora direttore generale della Asl Stefano Lorusso. Il pullman riprende la marcia in direzione Roma. Allo Spallanzani.

La sanità ribaltata
Il 2020 è stato l'anno dei tre manager che si sono alternati alla guida dell'Azienda Sanitaria Locale. Nel momento dell'impatto del virus al timone c'è Stefano Lorusso, ora capo della segreteria tecnica di Roberto Speranza al Ministero della salute.
A giugno gli subentrerà, come facente funzioni, Patrizia Magrini. Poi a novembre la nomina del direttore generale Pierpaola D'Alessandro. Ma torniamo a dodici mesi fa. Il sette marzo 2020 comincia la trasformazione del Fabrizio Spaziani di Frosinone, che diventa Covid hospital e hub di riferimento. In pochi giorni si fa quello che per anni non si era riuscito neppure a pensare. A Frosinone vengono allestiti 86 posti dedicati ai pazienti Covid per quanto riguarda la degenza ordinaria: 26 a Malattie infettive (su due piani), 40 a Medicina Covid (al terzo piano dell'ospedale, dove c'è Medicina Generale), 20 a Medicina d'urgenza Covid. C'è il potenziamento di Terapia Intensiva: si passa da 7 a 14 posti rapidamente, ma si può arrivare a 19. Poi ci saranno anche le 6 postazioni di terapia sub-intensiva. Per un totale di 25.

È la scelta giusta, perché nei giorni successivi iniziano le ondate di ricoveri. Per settimane allo Spaziani ci saranno più di 100 pazienti Covid. Il tutto è reso possibile dal trasferimento di diversi reparti al San Benedetto di Alatri: chirurgia generale, urologia, ortopedia, otorino. La sanità pubblica, nell'emergenza più terribile, ritrova la propria centralità. Medici e infermieri diventano gli eroi e in quel momento si capisce anche la cecità della politica dei tagli selvaggi alla sanità degli ultimi anni. Ma è Pierpaola D'Alessandro, subito dopo l'insediamento a novembre, a ridisegnare completamente la rete ospedaliera e sanitaria della Ciociaria.

La provincia viene divisa in due aree vaste: una a nord e una a sud. Il polo ospedaliero di riferimento a nord è Frosinone, mentre a sud c'è Cassino. Entrambi assumono un assetto Covid. Allo "Spaziani" i posti letto per malati di Coronvirus diventano 127, ai quali vanno aggiunti 20 di terapia intensiva e 4 di terapia subintensiva. I due nosocomi "perno", Frosinone e Cassino, saranno supportati da un'attività di tipo ordinario con cui si darà assistenza ai pazienti negli ospedali di Alatri e di Sora, che vengono ridisegnati. Al "San Benedetto" troveranno posto chirurgia generale, ortopedia, urologia, lungodegenza e riabilitazione e pediatria oltre a terapia intensiva, completamente rinnovata; al "Santissima Trinità", che mantiene la sua vocazione di polo oncologico, la mission sarà finalizzata all'assistenza dei pazienti non Covid, integrandosi con i due poli ospedalieri di Frosinone e Cassino. Anche per l'assetto della sanità locale nulla sarà più come prima.

Senza un attimo di tregua
Il 9 marzo 2020 l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte proclama il lockdown. L'Italia si chiude e si ferma. Tutto, tranne i servizi essenziali. Per decreto. Il giorno dopo l'Organizzazione mondiale della sanità emette il verdetto: è pandemia. Inizia la quarantena, anche in Ciociaria. Oggi è normale indossare le mascherine, osservare il distanziamento sociale, disinfettare le superfici. Ma fino a dodici mesi fa si trattava di misure lunari, che avevamo visto nei film. Invece è tutto vero. Si fanno le file per fare spesa al supermercato, la scuola scopre la didattica a distanza, interi settori economici e produttivi sono costretti a chiudere. Il Governo decide per il divieto di licenziamento, ma il prezzo da pagare è soltanto rimandato. E sarà salatissimo. Nel frattempo prendiamo confidenza con i tamponi molecolari, effettuati pure ai Drive Through. Arriveranno pure quelli antigenici. E ci sono perfino i test sierologici. Una sigla "marziana", Rt, entra nelle nostre vite quotidiane. Misura l'indice di trasmissibilità del virus. Il parametro più importante, quello in base al quale si decide cosa si può fare e cosa invece no.

In questi dodici mesi la curva dei contagi ha segnato l'esistenza di tutti e di ciascuno. L'impatto iniziale è stato fortissimo, soprattutto sulle terapie intensive. E in quel momento si sapeva davvero poco del Coronavirus e della malattia. La somministrazione di farmaci come l'eparina è arrivata dopo e comunque si è trattato di risposte nate dall'esperienza sul campo. Da maggio ad agosto la situazione sembrava essere migliorata, poi invece è arrivato l'effetto "rientro dalle vacanze". Fino all'ondata autunnale.

Con numeri che anche in Ciociaria hanno letteralmente travolto quelli dell'inizio. Il picco giornaliero di nuovi positivi in un giorno si è registrato il primo novembre. Con 399 casi. La speranza è arrivata dai vaccini. Il 29 dicembre scorso è iniziata pure in provincia di Frosinone la campagna di profilassi. Da quel momento sono state somministrate 30.414 prime dosi: 26.801 di Pfizer, 3.603 di AstraZeneca. E 9.458 persone hanno completato il percorso di vaccinazione. Nel senso che hanno ricevuto due dosi, tutte della Pfizer.

Negli ultimi giorni la situazione è peggiorata in Ciociaria. Specialmente per l'urto delle varianti: inglese e brasiliana. Il 23 febbraio il Comune di Torrice è stato dichiarato zona rossa. Il 26 febbraio stessa decisione per Monte San Giovanni Campano. Poi il 27 febbraio l'ordinanza della Regione Lazio: tutta la provincia di Frosinone "arancione". Il virus ha ripreso l'avanzata. E nei prossimi giorni ci saranno ulteriori restrizioni. Dodici mesi dopo è ancora lockdown. Non sarà come riaccendere l'interruttore.